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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

«Adozione alle coppie gay? Il giudice ha avuto una buona dose di creatività»

L'Unione Giuristi Cattolici Italiani interviene sulla recente sentenza del Tribunale dei minorenni di Roma che ha autorizzato l'adozione da parte di una coppia gay

L’Unione Giuristi Cattolici Italiani interveniene sulla recente sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma che autorizza l’adozione, del figlio minore della convivente, da parte di una lesbica, componente una coppia gay. «La motivazione della sentenza – spiega Livio Podrecca - non pare ancora disponibile, ma l’adozione (in casi particolari) risulta disposta sulla base dell’art. 44 Legge 184/1983 che, come si può vedere dalla semplice lettura, non la prevede né consente in alcun modo. Si può quindi supporre che la decisione sia del tutto creativa, come altre alle quali la magistratura italiana, sostituendosi al legislatore, ci sta, purtroppo, abituando in questi ultimi anni. Nel caso specifico, come già avvenuto con l’affidamento ad una coppia omosessuale da parte del Tribunale dei Minori di Bologna, si priva il minore di una delle figure genitoriali di riferimento (il padre nel caso romano; la madre in quello emiliano). Ciò che costituisce già, di per sé, un vulnus, con pesanti incognite ed intuibili rischi per il sereno ed armonico sviluppo psicofisico del minore, in ispregio di ogni principio di precauzione. Si attua, inoltre, di fatto, una vera e propria sperimentazione, sui bambini».

«La recente decisione del Tribunale dei minorenni di Roma – spiega in una nota l’Unione dei Giuristi Cattolici - che ha ammesso che una donna lesbica adottasse la figlia della sua compagna, si basa su una interpretazione palesemente erronea della legge sull’adozione, la quale consente di ricorrere a forme di adozione particolari solo allorquando non ci sia nessuno che si prenda cura del bambino (è il caso, ad esempio, di un grave handicap) e, dunque, vi sia concreta impossibilità di affidamento preadottivo. Nel caso deciso a Roma, invece, ci troviamo davanti ad una bambina che ha già una mamma e, dunque, questa necessità non c’è, come del resto aveva sottolineato il Pubblico Ministero. Inoltre, proprio per i casi di adozione del partner, la legge prevede espressamente che ciò possa verificarsi soltanto quando si sia uniti in matrimonio, ed essendo il matrimonio in Italia consentito solo tra persone di sesso diverso, ciò esclude radicalmente che l’adozione possa avvenire da parte di una convivente lesbica. Il giudice, dunque, ha agito con una buona dose di creatività, che, tuttavia, non era richiesta non essendoci lacune normative in materia, in quanto la legge sull’adozione non ha volutamente contemplato tale possibilità per persone dello stesso sesso. Certamente il Pubblico Ministero impugnerà la decisione davanti ai giudici di Appello. La scelta di aprire all’adozione da parte dei gay è un tema delicato e estremamente controverso, che, oltre ad incrinare gravemente la struttura antropologica e giuridica della famiglia, non può che produrre sui bambini adottati effetti psicologici ancora ampiamente imprevedibili. Anche chi non creda alla naturalità dei rapporti generazionali dovrebbe ritenere doverosamente prudente, in base a un generalissimo principio di precauzione, che per la crescita e l’educazione  dei figli sia opportuno che essi vivano nella completezza di un rapporto con due figure genitoriali di sesso diverso: una soluzione normativa di altro tipo appare asservita più ai bisogni soggettivi delle coppie gay che non all’interesse superiore del minore».



 

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