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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Via Colombo / Via Cristoforo Colombo

Omicidio al Baraonda: chiesti tre ergastoli e una condanna a otto anni

La pubblica accusa ha chiesto la condanna a vita per gli albanesi: Ramadani Bujara, il latitante arrestato e rientrato in Italia alla fine di luglio, e per i fratelli Mersin e Donard Uku, di 28 e 30 anni. Per Suada Zylifi, 28enne, il pm ha chiesto otto anni

Tre ergastoli e una condanna a otto anni di reclusione. Una pena pesantissima. Gli imputati avevano scelto il rito abbreviato, che prevede lo sconto di un terzo della pena, proprio per cercare di attenuare la condanna che si attendevano pesante. Ma forse l’ergastolo non lo avevano messo in conto.

LE RICHIESTE DEL PM - Sono le richieste avanzate questa mattina, 7 ottobre, dal pm Emilio Pisante nel processo per l’omicidio di un albanese avvenuto al bar Baraonda, in via Colombo, il primo settembre 2013. La pubblica accusa ha chiesto al giudice per l’udienza preliminare, Adele Savastano, la condanna a vita per gli albanesi: Ramadani Bujara, il latitante arrestato e rientrato in Italia alla fine di luglio, e per i fratelli Mersin e Donard Uku, di 28 e 30 anni. Per Suada Zylifi, 28enne, il pm ha chiesto otto anni. I tre uomini sono accusati di omicidio premeditato in concorso mentre la donna, Zylifi, di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento e allo sfruttamento della prostituzione, reato addebitato anche ai tre connazionali. Questa mattina, sono stati ascoltati in aula due testimoni albanesi che hanno assistito al bar Baraonda all’omicidio di Sadik Haideri. 39 anni, freddato a colpi di pistola.

LE DIFESE - Dopo la requisitoria del pm è è stata la volta dei difensori degli imputati, gli avvocati Mauro Pontini e Luca Curatti (Foro di Cremona). Pontini assiste Bujara e Donard Uku. Curatti, invece, difende lo stesso Donard il fratello Mersin e Suada Zylifi.

Curatti ha chiesto l’assoluzione per Donard e di far cadere la premeditazione per Mersin, oltre all’assoluzione per i reati legati alla prostituzione sostenendo che non esiste l’associazione per delinquere. «Non abbiamo messo in dubbio – ha affermato l’avvocato cremonese – né l’omicidio né la prostituzione. Donard, poi, non ha responsabilità, materiali e morali, nell’omicidio». Il riferimento è alla rapina avvenuta a una prostituta in agosto. Mersin era intercettato, nell’ambito di una operazione contro la prostituzione, e disse “datemi una pistola” per vendicarsi dei rivali. «Ma era uno sfogo generico del momento – ha continuato Curatti – non si può far partire da lì la premeditazione. E quando i tre arrivano al bar ci arrivano dopo essersi telefonati due volte. Cioè non era stato programmato nulla. Mersin aveva la pistola ma non voleva uccidere, voleva solo spaventare Hajderi. Purtroppo la situazione è degenerata e i nervi hanno preso il sopravvento. E’ stato un dolo d’impeto».

Stesse richieste anche per Pontini, il quale assiste Bujara e Donard. La richiesta di Pontini è stata di assoluzione per l’associazione per delinquere finalizzata alla prostituzione «perché erano tutti in carcere», l’assoluzione per Donard dall’omicidio e l’assoluzione di Bujara per tutte le accuse. «Dodici ore dopo il delitto - ha affermato l’avvocato – Mersin chiamò un amico in Albania. Quest’ultimo gli chiese perché avesse ucciso. Mersin rispose: non mi hanno fatto nulla. Ho visto mio fratello che era lì per chiarirsi e a un certo punto li ho visti tutti agitati. Non ho capito più nulla, sono sceso dall’auto e ho iniziato a sparare». Ma per Pontini, la cartina di tornasole sulla mancanza di un movente – cioè la guerra per il controllo della prostituzione - risiede in un’altra telefonata: «Il fratello della vittima chiama il cognato in Grecia. Il cognato chiede che cosa la vittima possa aver fatto di così grave da essere uccisa. Non lo so, replica il fratello di Hajderi, non ha mai fatto del male a nessuno».

LA VICEND -  Il delitto si era consumato nell’ambito del controllo della prostituzione a Piacenza, dove era coinvolta anche Suada Zylifi. Le indagini della polizia permisero di arrestare i due fratelli Uku poco prima che salissero su un aereo a Malpensa per fuggire in Albania. La Squadra mobile mise insieme i tasselli e riuscì a bloccare nel giro di poche ore. Alla base del feroce omicidio – Hajderi venne freddato con una pistola mentre era seduto al bar – ci sarebbe una ragazza, un prostituta che la vittima avrebbe voluto far lavorare in una certa zona. Nonostante un incontro precedente, le due gang non si accordarono e si arrivò al delitto. Hajderi venne raggiunto da due proiettili sparati da Mersin. Dei tre colpi esplosi, uno di rimbalzo colpì alla mano un altro albense; il primo verso Hajderi lo raggiunse al fianco, il secondo, mentre stava scappando, si infilò nella schiena e gli trapassò il cuore uccidendolo.

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