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Cronaca Castel San Giovanni / Via Giacomo Matteotti

Uccise la madre anziana: Maria Cristina Filippini condannata a 12 anni e 6 mesi

Dodici anni e 6 mesi di reclusione, questa la pena a cui è stata condannata con rito abbreviato Maria Cristina Filippini, la 48enne accusata di aver ucciso la madre 90enne, Giuliana Boccenti, il 4 febbraio dello scorso anno nella sua abitazione a Castelsangiovanni

Dodici anni e 6 mesi di reclusione, questa la pena a cui è stata condannata con rito abbreviato Maria Cristina Filippini, la 48enne accusata di aver ucciso la madre 90enne, Giuliana Boccenti, il 4 febbraio dello scorso anno nella sua abitazione a Castelsangiovanni.  Nella mattinata del 20 maggio il pm Emilio Pisante aveva chiesto sedici anni e otto mesi di reclusione, mentre la difesa l'assoluzione.

Lo psichiatra piacentino Filippo Lombardi, incaricato dal Tribunale di redigere una perizia sullo stato mentale della donna accusata di omicidio, aveva dichiarato, nell'aprile scorso, che la 48enne era capace di intendere e di volere quando ha ucciso l'anziana madre, soffocandola e strangolandola.

Per Lombardi inoltre la ludopatia della quale sarebbe stata affetta la 48enne non avrebbe comunque influito sul delitto. Insomma, la nuova perizia dello psichiatra piacentino dice l’esatto contrario di quanto invece aveva sostenuto un altro professionista, consulente però della difesa della donna arrestata dai carabinieri, che invece aveva scritto come la Filippini non avesse la capacità di “volere” al momento dell’omicidio proprio a causa della sua mania patologica per il gioco d’azzardo alle macchinette, che l’avrebbe spinta - per denaro - a uccidere la madre anziana.  Dunque, per il perito del Tribunale non c’è alcuna relazione tra un’eventuale mania per il gioco e il delitto, e la donna era capace di intendere e di volere quando soffocò la 90enne.

LA DIFESA - «Non c’era volontà di uccidere da parte sua. Il gesto è andato oltre la sua intenzione». I due avvocati difensori di Maria Cristina Filippini spiegano la linea difensiva tenuta davanti al giudice per l’udienza preliminare Gianandrea Bussi. Elena Marzi e Alessandra Salvadè hanno ricostruito la storia personale di Filippini, adottata nel 1967.

«All’epoca - hanno detto - non esistevano tutte le tutele previste oggi dalle norme. Filippini, nonostante tutto, non si è mai sentita accettata e questo ha creato difficoltà nei rapporti. Inoltre, quando si è creata una sua famiglia ha dovuto affrontare altri problemi». E questa sarebbe una delle molle scatenanti la patologia per il gioco. Una patologia riconosciuta dalle perizie degli psichiatri. Secondo quella dell’accusa, però, la malattia compulsiva per il gioco non avrebbe alcun legame con l’omicidio e Filippini quando uccise era in grado di intendere e di volere. Di parere opposto, invece, le conclusioni dello psichiatra di parte.

I due legali, dopo la loro arringa, hanno chiesto al giudice di ritenere Filippini non imputabile – sulla base della perizia della difesa – oppure di assolverla. In subordine, hanno avanzato al giudice la richiesta di riqualificare il reato da omicidio volontario aggravato in omicidio preterintenzionale «perché non c’era la volontà di uccidere».

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