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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Via Colombo / Via Cristoforo Colombo

Stroncato l'asse della prostituzione Piacenza-Albania: 14 arrestati: «Comunicavano con Skype»

Arrestato anche l'autista del commando, composto da tre uomini, che il 1 settembre 2013 freddò un uomo a colpi di pistola davanti al bar Baraonda in via Colombo. Si tratta di un albanese che si nascondeva in patria. Strettamente collegato al brutale assassinio, l'omicidio di Francesco Casella avvenuto a Gropparello: ecco perché

Quattrordici persone finite in carcere con l'accusa, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e omicidio. Una pericolosa gang di albanesi, dediti allo sfruttamento, anche con metodi violenti di alcune ragazze. Le manette scattate ai polsi del terzo uomo, sempre albanese, ritenuto responsabile dell'uccisione di un connazionale davanti al bar Baraonda il primo settembre 2013.

Su tutto questo si inserisce anche il delitto di Sariano di Gropparello, dove Adriano Casella uccise il padre Francesco. Infatti, la donna di cui il giovane si era invaghito, una albanese che aveva detto di voler uscire dal giro della prostituzione, in realtà era la leader del gruppo criminale: una mantide che organizzava il reclutamento delle giovani destinate al marciapiede, che si occupava della gestione e che veniva rispettata dagli uomini della banda, tutti con precedenti e nullafacenti. In realtà, in questa vicenda, le donne al vertice erano tre: due albanesi e una siciliana (che risiede a Piacenza da tempo). 

Il quadro inquietante è stato svelato oggi dal procuratore capo Salvatore Cappelleri, il quale in una conferenza stampa ha spiegato come si è arrivati a smantellare questo sodalizio criminale grazie a un lavoro coordinato tra squadra mobile di Piacenza, carabinieri del Nucleo operativo e procura e tra diversi magistrati.
Il giro di affari delle prostitute era di circa 6mila euro al mese e alcune ragazze venivano maltrattate dagli aguzzini per costringerle a prostituirsi con clienti piacentini e di altre province limitrofe. In un caso, una donna incinta era stata costretta a anche a continuare a "lavorare” nonostante il suo stato.

OPERAZIONE KOLLOVAR - E’ uno spaccato torbido e macchiato di sangue quello nel quale, da almeno un anno, la banda di albanesi operava a Piacenza. Oltre al ruolo di spicco delle tre donne, l’inchiesta ha anche mostrato come i criminali utilizzassero per comunicare i mezzi più moderni - ad esempio skype – così da avere sempre informazioni in tempo reale tra Piacenza e l’Albania. E a Tirana, la polizia albanese, dopo aver ricevuto dai colleghi della Squadra mobile piacentina tutte le informazioni, è stato arrestato il terzo membro – con probabilità l’autista – del commando che aveva freddato a colpi di pistola il 39enne Sadik Hajderi: si tratta del 31enne Ramadani Bujara. Quest’ultimo sarebbe stato ucciso perché non avrebbe rispettato le zone in cui si erano suddivise la città gli albanesi, andando a invadere spazi dove esercitavano prostitute di altri boss.

L’inchiesta sulla prostituzione, coordinata dai pm Antonio Colonna ed Emilio Pisante, è stata portata avanti dalla Squadra mobile, diretta da Salvatore Blasco, e dall’Aliquota operativa della compagnia carabinieri di Piacenza, al comando del maggiore Mancini. I militari di Fiorenzuola, con il capitano Emanuele Leuzzi, si sono invece occupati delle indagini sull’omicidio Casella, coordinato dal pm Ornella Chicca.

Tutti gli investigatori si sono, a un certo punto, ritrovati in mano elementi che si collegavano alle indagini di altri colleghi. E così, come ha sottolineato Cappelleri, è iniziato un lavoro di squadra, coordinato che ha portato a uno dei risultati più importanti degli ultimi anni. Un risultato che, però, mostra come la nostra città sia tutt’altro che tranquilla e come sia appetibile da gang senza scrupoli.

L’INIZIO - Tutto è partito dalla confessione di Adriano Casella: l’uomo ha detto di essere il responsabile dell’omicidio che  il 9 luglio scorso provocò la morte del padre 78enne (prima stordito con un sonnidfero e poi finito con un pistola da macello), a Sariano di Gropparello. Dopo il delitto, il figlio 36enne gettò il corpo del papà in un bosco vicino a Rustigazzo.

Spuntò la figura di una ragazza albanese. Adriano Casella disse di aver ucciso il padre, a cui aveva preso tutto il denaro – circa 100mila euro - e alla fine stava anche per vendergli alcuni mezzi agricoli, perché voleva salvare una prostituta albanese vittima del racket.

LA PROSTITUZIONE - In realtà, la sibillina albanese, era una delle menti dell’organizzazione, altro che vittima. Dopo aver avuto una relazione con l’uomo, e averlo alleggerito dei beni di famiglia, la donna era tornata in Albania per continuare a reclutare ragazze e gestire i ricchi affari della gang. Gli inquirenti hanno anche messo in luce la facilità degli spostamenti del gruppo tra Italia e Albania. Le giovani, una decina, in buona parte erano costrette dalla banda a battere i marciapiedi della città, in particolare della Caorsana. Il pm Colonna ha sottolineato la cattiveria e la mancanza del senso di pietà di alcuni uomini della gang che ricorrevano a violenze per far tornare le ragazze sulla strada. Non per tutte, però, perché alcune avevano avviato una sorta di relazione con i loro sfruttatori. Chi, invece, non era la donna di uno della banda andava incontro a serie vessazioni e violenze.

Basti pensare che una ragazza finì in ospedale ed ebbe una prognosi di 25 giorni per le botte ricevute, mentre a un’altra incinta era stato proposto l’aborto oppure di “lavorare” anche con un bimbo in grembo. Insomma, uno spessore morale vicino allo zero, una funzione sociale nulla, una vita dedita solo ai guadagni e allo sfruttamento della comunità che li aveva accolti.

La gang si era divisa le varie zone e proseguiva l’attività da almeno un anno. A far crollare il castello è stato l’omicidio dell’albanese che aveva “sgarrato” prendendosi una rotonda che, nei patti, sarebbe dovuta appartenere a un altro gruppo, provocando così la reazione violenta che costò la vita a Hajderi. D’altra parte il business criminale era elevato: oltre ventimila euro al mese.

LE DONNE - Il significato sociale del ruolo di tre donne nella gang è un elemento nuovo. In gruppi etnici dove il maschio è dominatore ed esiste un distorto concetto della femmina, trovare tre dark lady che erano rispettate per le loro capacità rappresenta un unicum. Insomma, i valori si sono ribaltati e la società matriarcale è tornata a vincere. L’albanese che prima aveva raggirato Adriano Casella, spingendolo fino al parricidio - Suada Zylifi di 28 anni - non solo organizzava il giro di prostituzione, ma si preoccupava anche di addestrare le giovani a trovare qualche sprovveduto da spremere. Con la vecchia storia della ragazza vittima della gang, le giovani avrebbero dovuto far innamorare di loro qualche cliente, per poi entrare nella loro vita e saccheggiare i loro beni. Una emancipazione criminale che ha visto in primo piano anche la donna di origine siciliana le quale, secondo gli inquirenti, oltre che a prostituirsi dirigeva il marito e gli assegnava dei compiti, essendo i due collegati all’organizzazione degli albanesi.

L’indagine non è chiusa, ma gli inquirenti non hanno voluto anticipare nulla sui possibili sviluppi e se vi siano contatti con altre bande organizzate.

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