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Cronaca

Processo Filosa, «contratti alla figlia per timore reverenziale»

In aula i testimoni delle aziende, Arp e Consorzio Casalsco del pomodoro, che avevano stipulato consulenze con la ditta della donna. La difesa: ma Filosa non li ha mai costretti a firmare

Contratti stipulati con l’azienda della figlia di Filosa. In un caso dopo una “consulenza” per una sanzione, nell’altro per «timore reverenziale e soggezione» nei confronti del potente direttore dell’Ufficio provinciale del lavoro. Sono gli argomenti trattati nell’udienza che vede imputati Alfonso Filosa (già direttore della Direzione provinciale del lavoro) e Morgan Fumagalli, imprenditore milanese, entrambi accusati di corruzione. In aula, i giudici del collegio hanno ascoltato alcuni testimoni, tra cui i vertici di Arp e Consorzio casalasco del pomodoro. Quando uno dei testi ha detto di aver avuto un «timore reverenziale» verso Filosa, il presidente Italo Ghitti gli ha chiesto che cosa intendesse dire. Alla risposta vaga, il giudice ha risposto: «Chiacchiere».

Un’udienza combattuta tra il pm Antonio Colonna e i difensori di Filosa, Luigi Alibrandi e Benedetto Ricciardi, che hanno duellato con i codici, ma anche con le parole, costringendo spesso Ghitti a intervenire. Nell’udienza di oggi, secondo la difesa sono stati importanti i tanti «non ricordo» dei testimoni e la mancanza di accuse precise verso Filosa, per quanto riguarda la corruzione. E, per i legali, va sottolineato come Filosa non abbia mai fatto pressioni per firmare i contratti. Stefano Spelta ha raccontato che l’Arp nel 2006 aveva avuto problemi legati alle ore straordinarie dopo un controllo dell’Ispettorato del lavoro che aveva elevato una sanzione di 60mila euro. Spelta ha detto che Filosa gli è stato segnalato dal direttore del Consorzio Casalasco. Avviene un incontro al Palazzo dell’Agricoltura, per chiedere come si possa ricorrere. Si parla di una memoria scritta, fatta poi avere da Filosa.

Colonna ha chiesto se non gli sembrasse strano che il dirigente che li aveva sanzionati gli proponesse come ricorrere e il dirigente ha risposto di sì. Filosa affermò che ci avrebbe pensato la Freeman consulting (azienda della figlia di Filosa, Maria Teresa, che ha già patteggiato). Venne firmato un contratto di 20mila euro l’anno con la Freeman, anche se non ce n’era bisogno. Un contratto, ha spiegato Spelta, fatto per evitare altre sanzioni e per evitare di incorere in futuro negli stessi errori legati alle ore dei lavoratori stagionali. Comunque, Spelta ha ricordato di non aver poi più chiesto consulenze alla Freeman e di aver interrotto i pagamenti, ma non il contratto, “perché temevamo controlli più frequenti”. I due legali di Filosa, hanno insistito sulla stipula del contratto e sul pagamento, avvenuto, di alcune fatture, poi acquisite agli atti. In conclusione, Arp vide scendere la sanzione a 44mila euro e, dopo un ricorso in Tribunale, a circa 20mila. Anche il capo del personale Arp ha confermato l’esistenza del contratto di consulenza e di aver in precedenza letto la memoria difensiva insieme con Filosa negli uffici della Direzione del lavoro.

Filosa, allora direttore dell’Ufficio del lavoro a Cremona, gli parlò dell’attività della figlia dicendo che gli avrebbe fatto piacere averlo come cliente. Anche il Consorzio, senza averne bisogno, stipulò un contratto di consulenza. Colonna ha attaccato: perché, se non ne avevate bisogno e senza chiedere quali sarebbero stati i costi? “Per rispetto verso Filosa, direttore dell’Ufficio del lavoro, per timore reverenziale”.  Tra tanti non ricordo, il pubblico ministero ha allora contestato al testimone ciò che aveva dichiarato quando venne sentito dai carabinieri: mai un controllo dal 2002 al 2009, dal 2006 al 2009 Freeman contatta solo due volte, e un contratto di 20mila euro l’anno, per un totale di 54mila euro pagati tranne alcune fatture.

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