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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Ricettazione di metalli, una nuova inchiesta coinvolge 81 persone

La procura ha chiuso le indagini ipotizzando il concorso in ricettazione. Molti degli indagati erano già stati arrestati nell’operazione Tower, l’organizzazione composta per lo più di nomadi sgominata dai carabinieri lo scorso marzo

Nuovo, importante, sviluppo dell’inchiesta che aveva portato in carcere 34 persone, molte di loro nomadi sinti, nell’operazione Tower messa a segno dai carabinieri coordinati dal sostituto procuratore Matteo Centini. Da quell’indagine, nel marzo di quest’anno, ne è nata un’altra che contesta, questa volta a 81 persone, il reato di ricettazione in concorso fra loro. Si tratta di centinaia di tonnellate, nel complesso, di metalli (ferro, alluminio, acciaio, rame) finite per lo più in due aziende piacentine che erano già finite nel mirino della procura e che vedono i loro vertici tuttora indagati. La procura ha chiuso le indagini un paio di settimane fa, notificando il decreto ai numerosi avvocati che sono stati indicati come difensori: Gaia Molinari, Simona Corbellini, Monica Malchiodi, Marco Malvicini, Sabrina Fermi, Gloria Zanardi, Carlo Romagnoli, Annamaria Ziliani. Agli indagati sono stati contestate le ricettazioni avvenute tra il 2015 e il 2017. Oltre a nomi già comparsi nella prima inchiesta, vi sono persone residenti nel Pavese, nel Milanese, nei campi nomadi piacentini. Al termine dei venti giorni previsti per presentare eventuali memorie difensive, la procura chiederà al gip il rinvio a giudizio.

Secondo la procura, il metallo recuperato era frutto di altri reati - quali il furto o la ricettazione - o comunque di provenienza illecita. I carabinieri, dopo lunghe e laboriose indagini, avevano scoperto un gruppo criminale che gestiva una organizzazione dedita ai furti in abitazione (soldi, gioielli, cellulari), truffe ed estorsioni soprattutto ai danni di persone anziane, nonché in cascine e aziende. Venne alla luce anche la vendita di tonnellate di metallo a due ditte piacentino che smaltiscono materiali ferrosi. Nell’indagine, i carabinieri avevano anche sequestrato beni per un valore di circa 600mila euro. Un episodio era stato particolarmente inquietante: le minacce al sindaco di Caorso, da parte di uno dei capi della gang, perché non voleva controlli nella piazzola di smaltimento rifiuti dove lui andava a prelevare materiale che poi rivendeva. Comunque, si trattava di un’attività continua, il furto o la ricerca al limite del lecito dei metalli, che generava guadagni più o meno grandi, come è emerso dalle intercettazioni telefoniche di diverse persone coinvolte nell’indagine.

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