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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Combattere il tumore riprogrammando le cellule: «E' possibile»

Convegno all'auditorio della Fondazione in via Sant'eufemia con il professoe Pier Mario Biava, ricercatore presso l'Istituto di cura e ricerca scientifica Multimedica di Milano.

Presso l’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano in via Sant’Eufemia, il professoe Pier Mario Biava, ricercatore presso l’Istituto di cura e ricerca scientifica Multimedica di Milano, ha condotto l'altro giorno un incontro aperto agli operatori sanitari e ai semplici cittadini dal titolo “La riprogrammazione delle cellule tumorali”.

L’incontro è stato organizzato dal dottor Pio Vampirelli ed è stato moderato dal professor Giancarlo Carrara, docente di scienza dell’Alimentazione all'università Cattolica di Piacenza, nonché ex primario dell'ospedale civile.

Tra il  pubblico presente in platea, che ha seguito con intensità l’esposizione del professor Biava, erano presenti, tra gli altri, il professor Ruggerini e il dottor Mistraletti. Ha aperto l’incontro il dottor Vampirelli, il quale ha illustrato come attualmente le direzioni in cui la ricerca si sta sviluppando per combattere la malattia tumorale sono essenzialmente due.

Quella denominata “riduzionista”, meglio nota come biologia molecolare che parte dagli elementi minimi, quindi dal basso, come le proteine, per correggere le anomalie in replicazione delle cellule che poi si trasformano in tumorali.

La seconda strada, minoritaria, battuta, ad esempio, dal relatore della giornata, è invece quella che parte sostanzialmente “dall’alto”, chiamata causazione e che cerca di trovare i rimedi alla mancanza di regolazione uniforme che si rileva nei processi di differenzazione cellulare, primum movens nell’inizio della errata replicazione cellulare che poi conduce all’aggregarsi di cellule neoplastiche.

Il Prof. Biava ha quindi preso la parola comincinado con un breve escursus sulla definizione di tumore ormai accettata dal 2004 (Tumore: cellule staminali tumorali) e sulla scelta che ha condotto a sperimentare la teoria della “causazione” su un piccolo pesce, detto “pesce zebrato” a scapito del moscerino della frutta e di una specie di rana.

Caduta la scelta sul pesciolino per l’affinità della regolazione che i geni conducono sulla differenziazione delle cellule staminali molto vicina a quella dell’ uomo, il Prof. Biava ha ricordato come i primi studi di questo tipo risalgono ai primi anni novanta con il Gene P53 (il numero indica il peso in frazioni di Dalton e viene indicato come gene onco-repressore).

Il processo che si ipotizza porta alla formazione delle cellule tumorali è una disregolazione nella progressiva differenziazione nei tre tessuti principali embrionali quali l’entoderma, l’endoderma e l’ectoderma da cui, rispettivamente, deriveranno principalmente vasi e sottocutaneo, apparato gastro intestinale ed ossa, cute ed annessi.

Il resto delle cellule embrionali, a differenza di quelle descritte, hanno la possibilità di “creare” l’individuo così come lo conosciamo differenziandosi per altre strade, benché parallele nelle modalità. Se in questo processo di differenziazione, da cellule staminali a cellule multipotenti, cioé cellule in gradi di svilupparsi in molteplici varianti ma di quel dato organo, quindi in cellule particolarmente definite, avviene che “qualcosa” interrompe questo processo e le cellule si accrescono non più differenziandosi come previsto, comportando la formazione di ammassi di cellule più o meno indifferenziate chiamate cellule tumorali.

Questo il motivo per cui esistono tumori particolarmente “cattivi” che lasciano poco tempo alla diagnosi ed alle terapie, qualunque esse sìano e, viceversa, formazioni tumorali a basso grado di malignità perché il processo di differenziazione si è bloccato ad un livello già avanzato di specializzazione di quel gruppo di cellule.

Il compito che le ricerche condotte dal Prof. Biava e dalla sua equipe si è prefissato è stato ed è quello di far rimettere in sincrono con i tempi di differenziazione tutti i componenti cellulari di quel dato organo onde proseguire nell’opera di specializzazione cellulare propria della replicazione “normale” delle cellule  stesse.

Gli stadi di differenziazione sono 5 e, di conseguenza, le combinazioni possibili portano ad un totale di 252 tipi di cellule nell’uomo. Con questa quantità di tipi cellulari, è possibile, venendo meno la funzione regolatrice dei Geni, ovviamente composti da proteine in varia combinazione, la formazione di 130 tipologie di malattie tumorali.

A loro volta, questa tipologia, si suddivide in tre formazioni. La più aggressiva e maligna è composta da cellule staminali, quindi altamente indifferenziate, che comprtano una brevissima sopravvivenza; segue quella composta da cellule totipotenti e poi da quella con cellule ben differenziate.Benché possa apparire che la complessità genetica dell’ uomo sìa bisognosa di un numero elevatissimo di composti proteici, il moscerino della frutta ha una dote di 14000 Geni, solo 6000 in meno dell’ uomo.

La differenza, in realtà, sta nella capacità che i Geni regolatori dell’uomo hanno di combinare gli elementi essenziali al punto di poter sintetizzare fino a 3000 proteine per Gene.Nei casi trattati di tumore trai più alti come malignità quali il Glioblastoma ( un tumore del cervello) ed il più noto Melanoma, si è ottenuta una sopravvivenza con le terapie derivanti da questi studi del 66% a 30 mesi utilizzando cellule  con Geni “regolatori” contro una sopravvivienza del 10%  senza l’ utilizzo di questa tecnica.

Concludendo, il prof. Biava ha posto l’ accento sulla “pericolosità” di manomissioni genetiche che coinvolgono solo alcuni dei componenti genetici di quel dato organo, non potendosi, al momento, con certezza, controllare tutti gli effetti che questi interventi possono, a medio-lungo termine, comportare, lasciando quindi le parole conclusive al Prof. Carrara.Il docente universitario ha colto l’occasione per ribadire che l’alimentazione può rappresentare un elemento favorente o rallentante l’evoluzione tumorale e/o la prevenzione della formazione del tumore stesso, prendendo ad esempio i recenti favorevoli studi che si prospettano con il consumo di Aloe, che pare  riduca, seppur parzialmente, la possibilità di sviluppi tumorali.

Al termine, sono state poste alcune domande al relatore, il quale ha quindi terminato l’ incontro sottolinendo che, in quest’ ottica, anche la buona proposizione psicologica di coloro che vengono colpiti dalla malattia tumorale, in termini di positiva reazione emotiva alla malattia, è in grado di migliorare gli esiti degli interventi terapeutici, in quanto l’ambiente cellulare risente positivamente in termini di trasmettitori e di sintesi proteica di un comportamento opposto a quello rassegnato e depresso che, purtroppo, affligge questa tipologia di malati.

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