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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

«Solo il caso ha voluto che io non fossi coinvolto nell'attentato a Kabul»

Intervento del piacentino Filippo Busconi che da due anni lavora in Afghanistan come funzionario Onu. Il 33enne conosceva bene la donna italiana ferita nell'attentato talebano dell'altro giorno e che ora è in condizioni gravissime

Mentre a Kabul scoppiava l’inferno, lui era appena arrivato in Italia. Filippo Busconi, piacentino di 33 anni, funzionario della Nazioni Unite da due anni lavora in Afghanistan. Prima ad Herat, dove operano anche i nostri militari, e da un anno a Kabul. Il luogo dove i talebani hanno lanciato l’assalto - uccidendo tre persone e ferendone altre, tra cui la funzionaria Barbara De Anna - è a poche decine di metri dal suo ufficio. De Anna è un’amica di Busconi. Le sue condizioni restano gravi a causa delle ustioni riportate e la donna, impiegata all’Ufficio internazionale per le migrazioni, è stata trasferita in un ospedale militare in Germania, a Ramstein. Busconi è impiegato all’Unama, l’agenzia Onu che si occupa sul piano politico di collaborare con il governo afghano in un’ottica di sviluppo. «Nessuno se lo aspettava, anche se è cominciata la campagna di primavera. Noi lavoravamo tutti tranquillamente, anche se con le dovute attenzioni, e non c’era sentore di pericolo» ha commentato Busconi.

filippo busconi ricci oddi-2Di seguito una riflessione che Busconi ha scritto “a caldo” subito dopo aver saputo che cosa era accaduto.

La notizia è arrivata veloce e tagliente. Il compound attaccato non era quello di un ufficio governativo, come inizialmente riportato ma uno delle Nazioni Unite. La testa comincia, incontrollata, a pensare troppo e da sola. E’ immediato il ricordo di quanto successo a precedenti uffici ONU in Afghanistan: a Mazar I Sharif nel 2011 (7 morti), Herat nel 2010 (nessuno nonostante i quattro kamikaze), Kabul 2009 (6 morti). Si comincia a fare la conta dei colleghi di IOM (l’ufficio per l’immigrazione, ndr) che si conoscono e di chi, in base alle prime informazioni che arrivano, confuse e incomplete, potrebbero essere le persone coinvolte.

Poi è la volta dei quotidiani on line, che non dicono nulla di nuovo. Anzi, creano solo confusione e panico. A volte solo cercano la notizia da dare per primi, poco importa che sia giusta o meno. E via di nuovo con un’altra ondata di messaggi e telefonate. E’ lui? E’ lei? Come sta? Non cosi male, no anzi , è grave.

La fase successiva è quella della rabbia. Quella che ti fa sbattere i pugni sul tavolo e la testa contro il muro blaterando imprecazioni  senza senso e generalizzando ogni cosa.

Terminato lo sfogo, utile e umano fino a un certo un punto, si comincia a ragionare e mi rendo conto che le generalizzazioni sono quasi sempre sbagliate. Che senso ha dire “tutti gli afghani sono assassini talebani”. Sarebbe un po’ come dire che tutti gli italiani sono mafiosi.
La testa chiede un attimo di pausa e il numero dei giri diminuisce.

E’ cosi che ci si ritrova a pensare a quante volte l’ufficio dell’IOM abbia ospitato incontri più e meno formali e che il non esserci dentro quel giorno, a quell’ora, sia una pura coincidenza. Solo il caso ha fatto sì che non ci fossi.

Soltanto a questo punto, tutto torna a posto. Le priorità ritrovano il loro ordine reale delle cose. Non sono né il traffico né il capo poco simpatico a determinare, alla fine, quello che è importante nella vita.

Martedì sera avevo cenato con un gruppo di amici tra cui Barbara. Si parlava del suo compleanno il prossimo 14 giugno e di festeggiarlo tutti insieme a IOM. Non penso sarà possibile.  Non quest’anno.

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