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Cimeli della Passerini Landi: il “Codice 190” della Divina Commedia. E’ il più antico fra i superstiti manoscritti del poema

Conferenza alla “Dante della professoressa Valeria Costa e dell’architetto Tiziana Dolfi

Una delle “perle” che Piacenza custodisce è il “Codice 190” della Divina Commedia di Dante Alighieri, vale a dire il più antico fra i superstiti manoscritti del poema. Lo ha ricordato e illustrato la prof. Valeria Costa - già docente di Materie Letterarie Classiche al Liceo e profonda scopritrice di “particolari” storici, letterari e di costumi antichi - al numeroso e attento pubblico che ha accolto l’invito della Società “Dante Alighieri”, che nello stesso incontro ha ospitato l’architetto fiorentino Tiziana Dolfi per il tema “architettura del “sepolcro” dantesco di Ravenna.

Div.Comm.-CodiceLandiano-pagina-2Il “Codice 190” libro di 35 cm. x 25, e 110 carte scritte, va sotto il nome di Codice “Landiano”, in quanto acquistato nell’ ‘800 dal nobile piacentino Ferdinando Landi. Nella nostra città esisteva fin dal 1399 una succursale dell’Università di Pavia al tempo di Gian Galeazzo Visconti. E, se la prima Cattedra “dantesca” fu quella del Boccaccio a Firenze (1373), Piacenza tuttavia, sul piano degli interessi culturali, vanta una precedenza su altre città in un tempo in cui era ancora forte letterariamente, storicamente e culturalmente la disputa tra il “latino” e il “volgare” italico. La Cattedra piacentina si aggregava alla Facoltà delle Arti e allo Studio degli “auctores”, vale a dire dei “Classici” poeti e prosatori della grande tradizione latina, ai quali Dante veniva assimilato. A Piacenza, dunque, ci si trovava dinanzi ad una robusta tradizione di alti studi, con sede presso l’antico Capitolo della Basilica di Sant’ Antonino. 

Il Codice Landiano, esposto tra l’altro a Roma nel 1865 e a Firenze in copia fotolitografica nel 1921, e sempre citato negli elenchi di Codicologia trecentesca, si presenta in rilegatura di pelle verde-scuro, con fregi dorati, ma molto sobriamente; né ha miniature, cosa assai tipica invece nei Codici medievali. È insomma un libro voluto “per essere letto, meditato – come ha detto la relatrice -, quasi portato con sé”. 

A commissionarlo, nel 1335-36 fu tal Beccario Beccaria, di Pavia, ghibellino e amico dei Visconti, podestà di Genova e di varie altri Comuni del Nord Italia. Copista fu un certo Antonio da Fermo, come risulta nell’ “explicit” del testo. La scrittura, in corsivo “cancelleresco bastarda”, terminologia che intendeva un certo carattere “burocratico” ma non esemplare, rispondeva ad una elaborazione per la nuova classe dirigente emergente nel tempo post-comunale o pre-signorile ed aspirante ad una cultura laica. 

Beccario Beccaria (che ebbe discendente solo una figlia rimasta nubile), avendo sposato tal Ginevra da Langosco, di antica famiglia pavese, lascio eredi i Langosco, a cui presumibilmente pervenne il “Codice 190” sul finire del ‘300. 

Il libro cinque secoli dopo sarebbe ritornato in possesso dei Beccaria, e da questi ceduto a Ferdinando Landi il quale lo fece confluire nella massima istituzione bibliotecaria della nostra città. Alla appassionata conversazione della prof. Costa, è seguita l’altrettanto stimolante intervento dell’arch. Tiziana Dolfi - specializzata in restauro e Conservazione dei beni architettonici, oltre che attiva collaboratrice in materia anche all’estero (in particolare a Malta) e nel Progetto City Gate in collaborazione con il “Renzo Piano Building Workshop” - la quale ha illustrato stile, trasformazioni e peculiarità del sepolcro sino all’attuale sistemazione della “zona dantesca” che ha interessato il periodo 1923 e il 1936 attuata con una collaborazione di vari architetti.

Invero, nel corso dei secoli, il sepolcro non aveva ricevuto restauri cure rigorosamente costanti, ed era sovente caduto in una sorta di abbandono. L'operazione  operata nel secolo appena decorso, è stata senza dubbio  valida, e ha dato un senso di maggior definitività ad esso. Il "sepolcro" è specificamente non di tipo trionfale, e, nel contempo, si distacca dalla prassi funeraria di presentare il defunto in forma distesa su di esso ; Dante è infatti rappresentato in attiva posizione eretta, assorto a contemplare un testo , identificantesi presumibilmente con la sua Somma Opera".

Il prossimo invito del dinamico sodalizio presieduto dal dottor Roberto Laurenzano, mercoledì 14 maggio alle ore 17, all’Auditorium della Fondazione per un concerto classico-leggero di lirica e operetta tra ‘800 e ‘900 (ingresso libero) con gli artisti Corrado Casati, Alberto Angeleri, Elena Franceschi e Gianni Zucca. 

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