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Da Cavour a Berlusconi, la storia d'Italia in un'ora

“Storia d’Italia in un’ora”, anzi due, per il piacere di rileggerla. Presentato a Palazzo Galli il libro di Giancarlo Perna, sintesi scanzonata e viva dei nostri primi 150 anni

Giancarlo Perna dal 2016 è una firma del quotidiano diretto da Maurizio Belpietro “La Verità” nelle cui pagine scrive ritratti taglienti, spesso spietati nei confronti dei potenti. E’ entrato nel mondo della carta stampata nel 1974. In precedenza la laurea in Giurisprudenza e la professione di avvocato per otto anni. Stanco dei rituali e dei tempi delle aule dei tribunali, la decisione di “passare dall’altra parte”, al giornalismo; è assunto all'agenzia Ansa, quindi scrive sui settimanali “L'Europeo” e “Panorama”; infine approda a “Il Giornale” di Indro Montanelli dove rimane fino all'agosto del 2014. Ha pubblicato i libri "Scalfari. Una vita per il potere" (Mondadori, 1990) e "Chiaroscuri" (Mondadori, 1995). Per i tipi delle Edizioni Clichy il saggio intitolato "Cento vite con il punto interrogativo. Quiz colti per appassionati di biografie" e per lo stesso editore “Storia d’Italia in un’ora” presentato a Palazzo Galli – Banca di Piacenza, attraverso un serrato alternarsi di domande e risposte rivolte da Robert Gionelli al giornalista “politicamente scorretto”, scorretto - ha subito chiarito Gionelli - perché il dottor Perna ha il merito professionale di approfondire i fatti, di scrivere le cose andando alle fonti, alle origine della notizia. Di scrivere anche cose un po’ scomode, di non preoccuparsi delle censure di andare contro il pensiero unico dominante e di occuparsi di cose che spesso altri giornali ignorano volutamente o nascondono nelle brevi.

L'obiettivo perfettamente centrato dall’autore è quello di raccontare in 137 pagine comprensive dell’indice di nomi e dei luoghi (poco meno di 400), la storia d'Italia partendo dalla fatidica data del 1861 per arrivare sino a Berlusconi; una storia italiana - i cui protagonisti sono cesellati in miniature difficilmente contestabili - che in circa un'ora, si fa leggere dalla prima all’ultima pagina e fa sorgere il desiderio di leggerla nuovamente. Ma il libro non è un bignamino, ossia il riassunto di un libro scolastico, ma un racconto fluido, una sintesi stringata, essenziale, scanzonata e con i pesi degli eventi ben dosati che non tralasciano dettagli e curiosità, presentando un’immagine viva di quello che sono stati questi centocinquant'anni d'Italia e dei suoi protagonisti. Quasi duecento quelli citanti e scolpiti con poche efficaci frasi: da Cavour a De Gasperi, a Craxi fino a Berlusconi.  Per realizzare l’impresa ci voleva qualcuno che sapesse padroneggiare la parola scritta, come Perna. Ne è un esempio già l’inizio del primo capitolo La destra storica:

 “I primi passi dell'Italia unita furono passi da bersagliere. Gli italiani parvero morsi dalla tarantola e fecero tutto di corsa, senza andare per il sottile. Dal 1861 al 1870, fu repressa la rivolta del Mezzogiorno, annesso il Veneto, strappata Roma al Papa. Poi, risanarono le finanze. Nel 1876, la corsa era finita. La Destra storica - che con i suoi dodici governi inaugurati dal Gabinetto del conte di Cavour aveva tagliato tanti traguardi - si inaridì di colpo e uscì di scena per sempre..

Alcuni argomenti trattati dall’intrigante conversazione Gionelli-Perna:

I Plebisciti. Votazioni popolari di assai dubbia regolarità. Le maggioranze strabordanti in favore dell' annessione - tipo i 561.002 sì, contro 681 no, della Lombardia nel 1859 - facevano pensare a una gestione allegra delle urne. Tanto che il termine di plebiscito - in sé sinonimo di voto - prese da allora il significato di consenso bulgaro. Fatta la tara alle forzature, l'effettiva vittoria degli annessionisti è però fuori discussione: la voglia d'Italia era autentica.

Monarchia o Repubblica. Il referendum istituzionale premiò la Repubblica, che con 12,6 milioni di voti superò la monarchia ferma a 10,6. Si gridò subito al broglio e, seppure la cosa resti dubbia, è probabile ci sia stato. Una settimana dopo, la Cassazione confermò i risultati. A Napoli, città monarchica, ci furono disordini con assalti alla sede del Pci e nove morti.

Mussolini. Il legame tra gli italiani e il dittatore è stato chiamato dagli storici consenso. Ai cattolici piacque il Concordato del 1929 che appianò le divergenze con la Chiesa e Mussolini fu dichiarato da Pio XI uomo della provvidenza ... il Ventennio garbò alle folle. Solo il patto fallimentare con Adolf Hitler e le batoste della Seconda guerra mondiale misero fine all'idillio. Il Duce non fu però mai solo nei suoi errori. Con lui c'erano gli italiani.

Craxi. Quiesta non movere et mota quietare era la dottrina dei vari Giulio Andreotti, Arnaldo Forlani, Mino

Martinazzoli, che era quanto offriva il vivaio Dc di quegli anni. Il milanese Craxi era tutt’altro, aveva la stoffa del capo di Stato. Incuteva timore, appena entrava nell’aula del Parlamento, cessava d’incanto il brusio che costantemente regnava e regna tuttora. Temperamento focoso, detto il Cinghialone per l'irruenza, prese la presidenza del consiglio dal 1983 al 1987 pieno di intenzioni... Pensava in grande Craxi. Voleva un'Italia super, mani libere in politica estera, il ponte sospeso tra Calabria e Sicilia per meravigliare il mondo, la lira forte, rivalutata per mille, anziché la liretta. Finirono così per sfuggirgli i problemi immediati. La giustizia aveva già preso una brutta piega per la politicizzazione delle toghe che si ergevano a paladine dei deboli contro i forti. Ciò che spesso si traduceva nella gioia perversa di mettere alla gogna l'uomo di successo...  

Il finale. Il Paese, intanto, è incartato. Resta il nodo del Mezzogiorno. Si è aggiunto il problema della disunione italiana, col Nord che tifa secessione, e la questione dell' euro e dell'Ue ai quali i più sono ostili. Incombe il debito pubblico che, diviso per quanti siamo, fa 38.300 euro a testa, poppanti inclusi. Per finire, col fenomeno migratorio che, tra la solidarietà degli uni e l'ira degli altri, semina nuova zizzania.

Cavour, per tornare al punto di partenza, ci aveva consegnato l'Italia unita. E noi, sei generazioni dopo, che ne stiamo facendo?

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