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Cultura Ferriere / Via Roma

Gambaro e la sua gente raccontati attraverso gli archivi parrocchiali

L'inedita relazione di monsignor Domenico Ponzini al Convegno della Deputazione Storia Patria, Terre Veleiati

​Nei giorni scorsi abbiamo riferito, con la sintesi dei lavori, della seduta scientifica della Deputazione Storia Patria per le Province Parmensi, sezione delle “Terre Veleiati”, svolta al castello di Gambaro (Ferriere) consultabile a questo link https://www.ilpiacenza.it/eventi/appassionati-e-studiosi-a-gambaro-per-illustrare-storia-ed-eccellenze-del-territorio.html

Nell’ambito del convegno, monsignor Domenico Ponzini, presidente della commissione di Arte Sacra e Canonico decano della Cattedrale, ha presentato una ricerca inedita sulla Chiesa di San Pietro di Gambaro, che il monsignore ci ha cortesemente autorizzati a pubblicare integralmente.

È doveroso premettere che i cultori raffinati di storia ritengono gli archivi diocesani spesso in grado di fornire notizie parziali, poiché in genere non possono offrire che le relazioni delle Visite pastorali, le notizie riguardanti il clero e le consistenze patrimoniali.

La mia lunga esperienza, a contatto con i documenti conservati nell’archivio diocesano di Piacenza, che data dal lontano 1958, mi permette di potere osservare che, se i documenti sono ricercati con attenzione, permettono di avere una visione sufficientemente esauriente, tenuto conto che, soprattutto quando si ricercano notizie su piccole comunità parrocchiali sparse sulle nostre montagne, la loro modesta storia molto raramente presenta eventi eccezionali.

Per quanto riguarda poi la piccola comunità montana di Gambaro non mancano notizie interessanti.

Gambaro e la sua gente.

Lorenzo Molossi, nel suo “Vocabolario topografico dei ducati di Parma, Piacenza e Guastalla”, ci informa che,  negli anni trenta del 1800 Gambaro era una villa del comune di Ferriere, sulla costa sinistra del torrente Nure, ad est del monte Carevolo, e la sua popolazione ammontava a 331 unità. I membri della parrocchia erano dediti all’agricoltura, alla pastorizia, alla raccolta dei prodotti del bosco e sottobosco, pochi erano i possidenti. Le famiglie che si distinguevano erano: i Bacicalupo, Barbieri, Bassi, Bergonzi, Bernardi, Boeri, Bonvini, Draghi, Fogliaci (più conosciuti come Fogliazza), Maloberti, Mangini, Molinelli, Peroni, Preli, Scaglia e Valla. Il numero degli abitanti fu sempre molto modesto, nel 1579 gli adulti che ricevevano la comunione erano 200, vent’anni dopo erano 190, 250 nel 1619. Il 16 ottobre 1630, mentre ancora infieriva la peste, il numero era sceso a170., quindici anni dopo il numero degli abitanti aveva iniziato a risalire, giungendo a185nel 1645, a 363 nel 1691, 448 nel 1852 e 524 compresi quelli che si trovavano all’estero nel 1921, per iniziare poi a scendere in quanto, specialmente le giovani, generazioni, incominciarono ad emigrare verso le città italiane o all’estero, specialmente in America e  in Francia. Purtroppo l’attenzione dei visitatori, fino alla metà del 1800, erano  soprattutto polarizzata all’aspetto strettamente religioso ed amministrativo. Non  risulta perciò se esistessero scuole elementari, se vi fossero enti particolari che si interessassero degli ammalati, di pronto soccorso in caso di necessità e dei poveri. Le relazioni elencano il numero delle feste, dei tridui e delle processioni alle quali tutti i parrocchiani partecipavano in massa e quasi tutti facevano la comunione pasquale. Una nota del 1852 riferisce che in paese non vi erano levatrici approvate dal governo, ma quelle che servivano erano capaci di amministrare il Battesimo.

mons domenico ponzini-2A sensibilizzare l’attenzione verso l’aspetto sociale fu il beato Giovanni Battista Scalabrini, che fu vescovo di Piacenza dal 1876 al 1905. Fu detto il vescovo degli emigranti, ma si interessò anche della situazione sociale dovuta alla povertà ed all’abbandono in cui versava la gente della montagna in condizioni igienicheparticolarmente precarie, soggetta alla debolezza fisica  dovuta alla miseria ed al fatto dei matrimoni tra consanguinei, per cui vi esistevano numerosi sordomuti e ciechi. Nel 1908, il parroco D. Bartolomeo Serpagli, dopo avere precisato che la gente emigrava in America ed in Francia, sottolineava che in parrocchia esisteva un solo sordomuto. Assicurava che i membri della parrocchia in gran parte erano “buoni Cristiani, ma freddi”, che in parrocchia non vi erano scandali, ne’ figli illegittimi e che i neonati venivano battezzati al secondo o al massimo il terzo giorno dopo la nascita.

Nella relazione del medesimo parroco di cinque anni dopo si iniziano a vedere le influenze negative che erano venute a turbare il modo tradizionale di vivere del paese, importate dagli emigrati, che erano circa cento, alcuni dei quali, ritornati in patria avevano introdotto delle novità non proprio edificanti. Nelle famiglie residenti si dicava il rosario tutte le sere, ma otto uomini non si accostavano più alla comunione pasquale e non frequentavano più la chiesa. Un altro non era sposato né civilmente, né religiosamente, e conviveva con una compagna in Francia. Un parrocchiano era abbonato al giornale dei socialisti “L’Avanti” ed otto al Corriere della sera. I bambini si battezzavano subito, ma ora vi era un’eccezione negativa: un bambino era stato battezzato privatamente forse perché in pericolo di morte, tuttavia non era ancora stato portato alla chiesa per il completamento del rito, perché il padre era in guerra. Ora però era ritornato a casa ma si opponeva: era il lettore dell’Avanti.

La parrocchia di Gambaro e i suoi parroci.

L’elenco è stato compilato su documenti della Curia Vescovile e completato con quelli della Biblioteca Comunale di Piacenza.

Rainaldo. 1330.
D. Bartolomeo Roncovieri di Roncovero. 1458 circa.
D. Bartolomeo Balderacchi, nativo di S. Gregorio di Chiappeto.
D. Bernardo Perroni, nativo di Torrio, in diocesi di Bobbio. 1630
D. Pellegrino Valla o Della Valle, di Gambaro. 1631.
D. Paolo Manfredi di Solaro. 1706.
D.  Cristoforo Migliorini. 1746.
D. Domenico Ghirardelli. 1751.
D. Gian Battista Caselli.  1764.
D. Giuseppe Maré. 1774.
D. Francesco Maria Franchi. 1777.
D. Giuseppe Callegari. 1795.
D. Bartolomeo Barattini. 1795.
D. Francesco Bacicalupo. 1819. Senza alcun dubbio fu il più illustre dei parroci di Gambaro. Apparteneva alla  famiglia più facoltosa del paese, proprietaria del castello ed era fornito di buona cultura.A lui si devono importanti realizzazioni nella parrocchia, che sarebbero state impossibili ad un parroco di una sperduta e povera comunità della montagna. Anzitutto agli inizi del suo servizio parrocchiale realizzò il pregevole e magnifico altare maggiore.Tale altare, eccellente operain marmi policromi, attribuibile a Gabriele Longhi, proveniva dalla chiesa soppressa di S. Maria di Piazza ed era dedicato a S. Pellegrino.Inoltre realizzò la ristrutturazione della canonica, per cui poté ospitare per cinque giorni il vescovo Antonio Ranza ed il suo seguito durante la visita pastorale alle parrocchie del vicariato di Rompeggio. Infatti oltre che avere ricevuto per sé e per i suoi successori il titolo di Prevosto, mentre i suoi predecessori erano sempre stati semplici rettori, in data 30 giugno1853 fu anche nominato Arciprete ad personame Vicario Foraneo del vicariato di Rompeggio. A lui si dovette praticamente la realizzazione dello stato attuale della piacevole chiesa parrocchiale e della grande devozione a S. Rocco, giunta fino ai nostri giorni, come risulta da due lapidi poste nella cappella del santo.

Chiuse la sua vicenda terrena il 26 maggio 1879 a 80 anni di età.

D. Giovanni  Battista Vaccari. 1879.
D. Bartolomeo Serpagli. 1887.
D. Giuseppe Rolleri. 1923.
D. Egidio Copelli. 1936. 
D. Domenico Cavanna. 1945.
D. Arturo Tiramani 1962. Ultimo parroco residente.

Gambaro e la sua chiesa parrocchiale.

Inizialmente apparteneva alla pieve ed al vicariato di Centenaro. In seguito fu legata al vicariato di Rompeggio e alla pieve di Cerreto Rossi. Civilmente appartenne ai marchesi Malaspina, poi ai Landi, che vendettero il territorio ai Baccicalupo. Il parroco D. Giuseppe Rolleri, in data 23 giugno 1930, in una sua relazione affermava che la chiesa era antichissima: ed era stata costruita in tre tempi: la sua prima parte risaliva al 1500, la seconda al 1600, la terza al 1700. Il primo edificio però dovette essere assai più antico, certamente come Torrio. È noto infatti che il monastero di Bobbio possedeva dei villaggi dove i monaci convivevano con i lavoratori dei campi. Ivi erano erette  delle cappelle per la  preghiera e l’Eucarestia dei religiosi, La Visita Apostolica del 1579 rilevava che la chiesa di Gambaro era posta in un piccolo borgo, in un luogo alpestre sotto il monte, vicino alla strada. Il monte a cui si fa cenno è certante il Carevolo e la strada è quella che ancora oggi  vi sale e permette di giungere Torrio, corte monastica del cenobio di bobbiese, la cui chiesa era ed è tuttora dedicata a ugualmente aS. Pietro. Il diploma del re longobardo Rachis del 5 agosto 747 enumerava Gambaro fra i territori appartenenti alla corte di Torrio e quindi al monastero di S. Colombano di Bobbio, la cui chiesa cenobiale era dedicata a Santi Pietro e Colombano. I monaci tendevano a dedicare le cappelle delle loro celle monastiche al Principe degli Apostoli, che era il titolare della loro casa madre, facilmente per sentirsi in comunione in uno dei tre caposaldi della loro regola“orandum”. Sembra perciò possibile ipotizzare che la prima chiesa di Gambaro potesse essere esistita già nel periodo della presenza longobarda nelle nostre terre. D’altra parte, come si è notato, si conoscono due rettori, uno del 1330,  l’altro del secolo seguente. Comunque l’edificio del 1579 doveva essere molto modesto e spoglio, oltre l’altare maggiore, su cui era il tabernacolo,  ne aveva uno laterale contro la parte destra, senza la predella e non era dedicato a nessun santo. Vent’ anni dopo, e precisamente il 27 giugno 1599,il Vescovo Claudio Rangoni era presente a Gambaro e forniva notizie interessanti. Anzitutto la chiesa non era di libera collazione ma era di giuspatronato della signor Bartolomeo del fu Teofilo Zucchelli..

Per quanto riguardava l’edificio: la suppellettile risultava arricchita: vi era stato collocato il battistero, in pietra, coperto da armadietto in legno piramidato. Presso la porta principale era posto il confessionale in legno. L’edificio comunque non era in buon stato: Le pareti laterali avevano perduto l’intonaco e veniva ordinato che il tetto fosse  riparato. L’ordine fu eseguito, ma sette anni dopo l’edificio minacciava rovina. Della vecchia torre campanaria rimanevano soltanto le fondamenta e le due campanelle, per convocare i fedeli ai sacri riti, erano state collocate in una specie di campaniletto a vela, elevato sopra la facciata. Il parroco assicurava che la chiesa era stata consacrata, ma non ne ricordava la data. L’anniversario della dedicazione a S. Pietro si celebrava il primo giorno di agosto, festa di S. Pietro in vinculis. Nel 1600 e nel secolo seguente l’edificio non solo fu restaurato, ma anche ampliato, tanto da assumere lo stato attuale.I lavori dovettero essere facilitati dalla famiglia proprietaria del castello, in quanto le modeste risorse della gente del paese non avrebbero potuto permettere tanto sfarzo. Purtroppo non esistono documenti che permettano di conoscere le modalità dei successivi interventi di miglioramento. Il 6 giugno 1691 la chiesa si era arricchita di un secondo altare laterale: il primo, che si trovava a destra, era dedicato a S. Rocco, mentre il secondo, costruito di fronte, era consacrato al culto di S. Antonio di Padova, molto venerato nella diocesi piacentina. La chiesa però era ancora in cattivo stato: il volto del coro minacciava di crollare, la vasca battesimale  era spezzata ed indecente, il campanile non esisteva. Dalla relazione del 10 settembre del 1742 risulta che nella prima metà del secolo XVIII erano stati svolti molti lavori di miglioramento e la chiesa nel suo interno aveva l’ordinamento attuale, divisa in tre campate. Procedendo dall’’ingresso, a destra vi erano tre vani. Il primo occupato dal confessionale, il secondo dall’altare del Crocifisso, il terzo da quello di S. Rocco. A sinistra si succedevano: le cappelle del battistero, della Madonna, di S. Antonio di Padova. La torre campanaria non era ancora terminata, il visitatore decretò che ciò avvenisse entro un anno, intanto prescrisse che le campane fossero tolte da quella specie di campanile a vela sulla facciata, pericolante, e custodite in chiesa finche la torre non fosse stata terminata. In data 3 luglio 1775 vengono fornite due interessanti notizie sulla chiesa parrocchiale. La prima è che nel pavimento so trovavano le coperture di  cinque sepolture, quella per i sacerdoti e i bambini era posta sulla destra, davanti alla seconda campata in cui era l’altare del Crocifisso. Più avanti si trovavano quelli della famiglia Boeri e della famiglia Maloberti.

La seconda notizia riguarda il dipinto che raffigura S. Pietro e la caduta di Simon Mago, di  lui vi è un accenno per la prima volta in una descrizione di mano del rettore D. Paolo Manfredi del 1723, al tempo del vescovo Giorgio Barni, ora se ne parla più specificatamente:è posta sulla parte dietro l’altare maggiore. Il grande quadro è definito: “opera di eccellente pittore”. Si sa che i Malaspina nel 1716vendettero l’originale ai Farnese come opera di Giovanni Gaspare  Lanfranco (1582-1647), e che, nel 1745,l dipinto fu trasferito a Napoli. L’attribuzione al Lanfranco è possibile ma non del tutto sicura. Già nel 1775, era è ritenuto ugualmente“opera di eccellente pittore”, in quanto, come racconta Anton Domenico Rossi, quasi tutti i quadri, opere di del Lanfranco o di esimi pittori, razziate nelle chiese di Piacenza dai Farnese, portate a Parma, ed in seguito a Napoli, furono sostituite da varie copie del valido pittore piacentino Pier Antonio Avanzini. Si pensò che anche quello della Caduta di Simon Mago di Gambaro fosse stata opera attribuibile algrande artista parmense.

Gambaro e i suoi morti

In genere, specialmente nelle parrocchie di campagna, i documenti disponibili nell’Archivio diocesano denunciano lo stato di abbandono in cui erano tenuti i cimiteri. In effetti i morti abitualmente  erano sepolti sotto il pavimento delle chiese in sepolcri comuni. Solo alcune famiglie facoltose avevano sepolture particolari. I cimiteri servivano soprattutto per deporre i resti mortali dei parrocchiani quando le sepolture erano colme, oppure in tempo di epidemie quando i cadaveri erano troppo numerosi e le sepolture non potevano contenere tutti i cadaveri. Il vescovo Rangoni, il 27 giugno 1539, a Gambaro trovava invece il luogo sacro con al centro una grande croce a circondato da un muro che lo difendeva da incursioni di animali. Duecento anni dopo invece doveva avere cambiato localitàed era privo dei muri di riparo, probabilmente era stato ricavato nella zona ove si trova attualmente. 

Note bibliografiche

1. L. Molossi, Vocabolario topografico dei Ducati di Parma, Piacenza e Guastalla. Parma 1832-1834, p.155, I colonna.

 2. Visita Apostolica di Mons. G:B: Castelli, vescovo di Rimini del 28 agosto 1579, vol. II, c. 179 r.

 3 . Visita Pastorale (d’ora innanzi V.P.) del vescovo Claudio Rangoni, vol. V, c. 1802 r., del 27 giugno 1579.

 4 . V.P. Giuseppe Zandemaria, 8 ottobre 1019, vol. V, c. 153 v.

 5 . V.P. Alessandro Scappi del 16 ottobre 1630, v. V, c. 116 r.

 6 . V.P. Giorgio Barni del 6 giugno 1691, v. III, c.638 v.

 7. V.P. Antonio Ranza, 25 giugno 1852, v. I, c. 23 r.

 8 . V.P. Giovanni Maria Pelizzari, 21 maggio1921, v. XIII, fogli non numerati.

 9 .V.P. Giovanni Maria Pelizzari, v. VII, 29 giugno 1909, pagine non numerate.

10 . V.P. Giovanni Maria Pelizzari,,, v. XIII, 21 maggio 1921, pagine non numerate

11. Cfr. F. Nicolli, Successioni Piacentine. Manoscritto n. 56 della Biblioteca Comunale.

12 . In quel tempo venne fusa la prima campana e fi realizzato il quadro raffigurante Maria.

13. Parroco per circa 2° anni.

14 . Fu parroco per 17 anni.

15. Morì nel 1666.

16 . Parroco per circa 40 anni..

17. Era nativo della villa Migliorini, allora in parrocchia di Olmo.

18. Era nativo dei Codegazzi in parrocchia i Centenaro

19. Era nato a Casale di Brugneto

20. Era nato a Borzonasca, era stato rettore della parrocchia di Meteglia e Ciregana. In seguito fu promosso parroco di Rezzanello.

21. Passò parroco a Cogno S. Bassano.

22 . Il 1795 è l’anno in cui terminò il suo mandato. Era nativo di Caneso di Bedonia.

23 . Fu promosso parroco di S.Damiano in comune di S. Giorgio Piacentino

24 . Una lapide del posta nel retro del detto altare porta la seguente iscrizione: PRAEPOSIUTUS  FRANCISCVS BACCICALUPI EXTRVXIT 1820.  . Cfr. S. Migliorini, Altari del Settecento, in «Storia di Piacenza», vol.

25 . Cfr. S. Migliorini, Altari del Settecento, in «Storia di Piacenza», vol. V, parte II, Piacenza 2000.

26 .Cfr. V.P. del vescovo Luciano Monari, del 18 settembre 2000, vol. II, p.142.                                                   Nella prima lapide si legge: ROCCO/EROE CELESTE/POSSENTE PRESSO L’ALTISSIMO/QUESTA TERRA E LE ADIACENTI REGIONI/LIBERANDOLE/DAL COLERA ASIATICO/NEL 1836. Nella seconda l’iscrizione è ancora più illuminante e riportala seguente iscrizione: IL PREPOSITO/D. FRANCESCO BACICALUPO/ E POPOLANI/GRATI A TANTO PROTETATORE/DECRETARONO PER VOTO/IL SUO GIORNO FESTIVO/CON DIGIUNO NELLA VIGILIA/E NE ONORARONO QUESTA ARA DI MARMO/NEL 1837.      

27 .Cfr. registro dei Sacerdoti defunti della Cancelleria Vescovile I, alla lettera B.

28 . Cfr. Era nato a Bardi il 9 febbraio 1830. Ordinato il 29 maggio 1864, era stato curato a Calendasco. Morì  il 21 febbraio 1886. Cfr. registro dei Sacerdoti defunti della Cancelleria Vescovile II, alla lettera V.

29. Era nato a Bedonia nel 1838. Prima di giungere a Gambaro era stato curato a S. Giustina val Lecca e a Saliceto. Morì l’8 aprile 1923 all’età d 85 anni. Cfr. Registro deli sacerdoti defunti della Cancelleria Vescovile.

30. Era nato a Pione nel 1894. Ordinato sacerdote nel 1920. Fu subito nominato parroco di Faggio. Nel passò a Gambaro, ove rimase fino al 1931, quando  fu promosso arciprete e vicario foraneo di Varsi.

31. Era nato a Piacenza il 16 settembre 1908. Ordinato nel 1931, fu destinato curato in S. Sisto in città.  Resse la parrocchia di Gambaro dal 1936. Morì tragicamente a Bettola il 14 giugni 1945.fr. Registro deli sacerdoti defunti della Cancelleria Vescovile.

32. Nato a Morfasso il 27 settembre 1912. Sua prima destinazione fu Ganaghello, cappellania di Castelsangiovanni. Promosso parroco di Gambaro, vi rimase fino al 1961, quando passò a Piozzano, in val Luretta, ove rimase fino alla morte avvenuta……………..

33. Anch’egli nato di Morfasso il 2 gennaio 1931. Ordinato sacerdote nel 1955, fu successivamente curato a Seminò e Castelsangiovanni. Rimase a Gambaro fino al 1960, quando divenne parroco di S. Lazzaro Alberoni. Il 12 novembre 1970 emigrò in Canada fu parroco in Montreal fino alla morte, avvenuta il 31 ottobre 2009.

34. VP Claudio Rangoni, 19 novembre 1613 e VP Caludio Rangoni vol. V c. 27lr.

35. VP. Gherardo Zandemaria, 10 settembre 1743, XVIII. c. 42 ss.

36. Visita Apostolica Castelli del 17 agosto 1579, v. II, c.  In Canada

37. Cfr. C. Cipolla – G. Buzzi a c., Codice diplomatico del Monastero di San Colombano Bobbio fino all’anno MCCVIII.  voll. Torino. Bottega d’Erasmo. Senza data. Vol. I, p. 126.

38. Gli altri due erano: laborandum et legendum. Cfr. «Orandum, laborandum, legendum», nel segno di Coloòbano da S. Pietro in Ciel d’Oro alla pieve di Alpepiana, in «Archivum Bobiense». Nn XVI-XVII, 1994/95, pp. 7-1154.

39. V.P. Claudio Rangoni. v. V, 6 agosto 1606. p. 610 r. ss.

40 . V.P. Giorgio Barni, 6 giugno 1691.v. III, c. 633r.

41 . V.P. Gherardo Zandemaria, 10 settembre 1743. V. XVIII, cc. 42 r. – 57 r.

42 . V.P. Alessandro Pisani. 3 luglio 1775. V. 38, c. 74r ss.

43 . L’attribuzione sicura è “opera di eccellente pittore” o “di distintissimo pennello” (cfr. A. D. Rossi, Ristretto di Storia Patria ad uso dei Picentini, Tomo IV, Piacenza 1832, p. 310). Cfr. L. Molossi, op. cit. p.155.  Il prof. Ferdinando Arisi, profondo conoscitore dell’arte e degli artisti di Piacenza così espresse il suo giudizio: “… In questi anni (primo decennio del 1600) i Malaspina commissionarono a Lorenzo Garbieri (Bologna 1580 – 1654) o  più probabilmente al Lanfranco quella “Caduta di Simon Mago” che costituì nella chiesa parrocchiale di Gambaro dedicata a S. Pietro…”. Cfr. F. Arisi, La pittura, in «Storia di Piacenza», vol. IV, I parte, Piacenza 1999, p. 426.

44. Cfr. A.D. Rossi, op. cit. pp. 309-310.

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