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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cultura

«La donna e gli archetipi»

L'intervento di Livio Podrecca

Carl Gustav Jung, psicanalista allievo di Sigmund Freud, parla degli archetipi collettivi, che non sono altro che modelli sociali ai quali la società e le persone fanno inconsciamente riferimento nelle loro relazioni e modi di vita. E così, inconsapevolmente, ciascuno di noi ha, per esempio, una sua rappresentazione, spesso inconscia, del padre e della paternità; o della madre e della maternità; della famiglia; e così via. Un famoso neuropsichiatra portoghese, Antonio Rosa Damasio, sostiene addirittura che nel cervello c’è un’area nella quale stanno originariamente, fin dalla nascita, i modelli sociali di comportamento, che sarebbero quindi una specie di eredità che ciascuno riceve e si porta appresso, senza che nessuno gliela abbia inculcata, né in famiglia, né altrove. Parlando da uomo della strada, pare abbastanza logica e scontata l’idea che ciascuno abbia della società e dei suoi modelli una sua personale rappresentazione, sia che a tali modelli voglia conformarsi, sia che voglia sovvertirli e combatterli. La legge e lo Stato hanno, in questo senso, una importante funzione, perché i modelli normativi di padre, di madre, di famiglia, di parentela, per esempio, ne promuovono la diffusione e la metabolizzazione dell’inconscio collettivo, così da divenire, a loro volta, strutture sociali e comportamentali di riferimento, idonei ad orientare le persone attorno ad un nucleo di senso nella pianificazione ed organizzazione della loro esistenza.Questa premessa per dire che ai nostri tempi lo Stato e la legge, più che strutturare e sostenere nuovi modelli sociali e comportamentali, in particolare nelle strutture sociali di base, matrimonio, famiglia, paternità e maternità, hanno semplicemente decostruito, o distrutto, per essere più chiari ed espliciti, quelli esistenti, svuotandoli di senso e, conseguentemente, della loro implicita forza ed attrattività. Dire che tutto è permesso e si equivale, nella dittatura del desiderio, vuol dire abdicare al ruolo regolatore del diritto, abbandonare la società al caos morale e giuridico, introdurre elementi che inevitabilmente accresceranno la fragilità individuale e lo sfaldamento sociale, incentivando le nevrosi e la emergenza psichiatrica di cui già si manifestano i prodromi, soprattutto tra i più giovani.Abbiamo appena ‘festeggiato’, si fa per dire, la festa della donna, una impressionante operazione mediatica in un contesto sociale ormai femminilizzato e matrifocale. La straripante e mielosa abbondanza di servizi sulla donna, nella quale l’uomo, il maschio, appare sempre più come un orpello inutile e ridicolo, ha dato una visione impressionante della onnipotenza femminile e materna, ed una rappresentazione plastica di quello che Freud ha chiamato la paura (o il complesso) di castrazione. Cioè una forma di invincibile impotenza soggetta al ricatto affettivo, sessuale, politico, ideologico della donna, che ricalca quello, nello stadio infantile, materno, in uncontesto sociale irrimediabilmente infantile e femminilizzato. In una società collettivamente regredita agli stadi infantili della indifferenziazione sessuale, la madre nutre e, nello stesso tempo, divora i suoi figli senza che nessuno, ora che il padre e la sua autorità sono stati confinati, quali beceri arcaismi, nel cantuccio dei ricordi spiacevoli del passato, possa liberarla dai veleni di una simbiosi asfissiante. La madre, la donna, è colei che dispensa il piacere, in ogni sua forma, e questo archetipo, questo modello invasivo e pervasivo, domina inconsciamente lo Stato, le idee politiche, il Parlamento, i consigli comunali e regionali, la scuola, le famiglie, l’Europa, l’ONU, Amnesty International, le ONG, l’OMS, e via dicendo. Per il maschio non c’è più spazio, né tempo. Siamo socialmente immersi in un liquido amniotico che, collettivamente, ci stordisce, lentamente ci avvelena, ci snerva e ci annichilisce in un perenne stato infantile ed adolescenziale dal quale nessuno, checché se ne possa dire, è ormai umanamente capace di tirarci fuori. A meno che, toccato il fondo, non si ritorni al padre. Anzi, al Padre, che non aspetta altro.

Livio Podrecca, presidente dell'unione giuristi cattolici piacentini

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