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«Pier Luigi Farnese voleva che Piacenza diventasse più bella perché la preferiva a Parma»

La storia della dinastia Farnese è stata al centro del convegno di livello internazionale che ha portato a Palazzo Farnese nella Sala dedicata al duca Pier Luigi, relatori di rilevante profilo che hanno rinverdito il forte legame della città di Piacenza con il palazzo simbolo della dinastia farnesiana, divenuto oggi centro propulsore della vita culturale piacentina

La storia della dinastia Farnese è stata al centro del convegno di livello internazionale che ha portato a Palazzo Farnese nella Sala dedicata al duca Pier Luigi, relatori di rilevante profilo che hanno rinverdito il forte legame della città di Piacenza con il palazzo simbolo della dinastia farnesiana, divenuto oggi centro propulsore della vita culturale piacentina.  La giornata di studi progettata e condotta dalla dottoressa Antonella Gigli, Direttore Musei Civici di Palazzo Farnese, per conto del Comune di Piacenza e dal prof. Marco Horak per conto dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano, ha celebrato il 460esimo anniversario dell’inizio della costruzione del palazzo della storica casata e il 25esimo anniversario della fondazione Istituto Araldico Genealogico Italiano.

La cortesia degli organizzatori e dei relatori ci ha già consentito di far seguire alla nostra cronaca dell’evento e l’estratto della relazione del dottor Giorgio Eremo “Vicende e curiosità legate al Palazzo Farnese di Piacenza e ai suoi artefici”; segue oggi la prima parte dell’intervento del gen. Eugenio Gentile:

 “IL CASTELLO DI PIER LUIGI FARNESE: DA SIMBOLO DELLA TIRANNIA A BENE CULTURALE”

Quando Pier Luigi Farnese, il primo duca di Piacenza e di Parma (il ducato era stato fondato da Papa Paolo III nell'agosto 1545) decise di far realizzare con molta celerità la fortezza di Piacenza, "il castello", perché intendeva risiedervi, questa decisione segnò la rapida attuazione del suo assassinio. Questo misfatto venne propagandato dagli autori della congiura, il gruppo PLAC, dalle iniziali delle loro casate nobiliari, come un atto di liberazione della città dal tiranno. Il delitto era stato pianificato da tempo; dietro gli autori materiali vi erano Don Ferrante Gonzaga, governatore di Milano, protetto da Carlo V che aveva molti motivi per volere la caduta del duca - non la morte. Ma Pier Luigi Farnese - il diavolo - era veramente un tiranno? Ed era l'unico, seppur preceduto sempre da pessima fama, tanto livore da meritare di essere ucciso? Se scorriamo i secoli di storia, troviamo numerosi signori variamente titolati, meritevoli di analoghe se non peggiori definizioni. La definizione di tiranno mi sembra eccessiva. Certamente, l'imporre tasse ai sempre privilegiati, aver costretto gli stessi a risiedere in città, ascoltare le lagnanze dei sudditi più deboli, lo resero inviso ai nobili e ben accetto al popolo minuto, almeno per un certo periodo. Il duca avviò riforme degne di uno stato moderno, forse troppo accentratore. Voleva anche che Piacenza diventasse più bella perché la preferiva a Parma e non gli mancava l'esperienza. Un esempio degno di nota è Castro, il suo primo, piccolissimo ducato, assegnatogli dal padre Paolo III nel 1537. Castro era considerato un luogo malsano e sfortunato, senza alcun ruolo di rilievo, a seguito dei tanti eventi bellici e delle faide interne. Pier Luigi riuscì a far diventare Castro ed il territorio di appartenenza, un centro bellissimo ed attrattivo anche per l'economia. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che il nostro era un valente militare, Gran Gonfaloniere della Chiesa, il capo dell'esercito e, per fare un esempio, aveva realizzato a Perugia, la cui ribellione aveva soffocato nel sangue, la Rocca paolina per affermare il dominio della Chiesa sulla città. Era pertanto naturale che si preoccupasse soprattutto della difesa della città di Piacenza, capitale di un territorio non vastissimo ma importante nel panorama internazionale, anche per la posizione strategica della città. Si occupò di far completare la cinta muraria voluta da papa Clemente VII e, segnale importante, fece realizzare la "tagliata" intorno alle mura, un circuito ampio 500 trabucchi (circa 1400 metri) entro il quale era vietato costruire e piantare alberi, per far sì che un eventuale aggressore fosse scoperto e reso inoffensivo già da lontano. Questa operazione fu senza dubbio motivo di scontento fra i contadini, ma il duca promise indennizzi e ordinò la fabbricazione di case in sostituzione di quelle abbattute. Promesse mantenute poco, anche perché non ne avrebbe più avuta la possibilità. Per ultimo, avviò la costruzione del Castello. Per i congiurati fu la scintilla che portò all’immediata soppressione del duca, perché pensavano che una volta realizzato il castello, sarebbe stato impossibile eliminare il tiranno, chiuso e ben protetto dalla fortezza. C'è da osservare però che per la posizione scelta per costruirlo, il castello si prestava a essere considerato anche di dominio sulla città, ma Pier Luigi, da ottimo stratega intendeva contrastare anche infiltrazioni dalla stretta di Stradella lungo la via Emilia. E' significativo infatti che la porta sant'Antonio (delle mura) non era, e non è, allineata con la via Emilia, così che dai bastioni del castello si potevano colpire con le artiglierie da posizione di vantaggio obiettivi provenienti da ovest, dalla stretta di Stradella. Quindi il Castello aveva indubbiamente una funzione di rinforzo rispetto alla cinta muraria. Anche se per la sua realizzazione furono espropriati terreni, abbattute case, utilizzata molta manodopera forzatamente sottratta al lavoro dei campi, il naturale malcontento era comunque controllabile, mentre non controllabile fu la congiura che portò all'assassinio del Duca. Che avvenne il 10 settembre del 1547.

Il castello rientra nella nuova maniera di fortificare. A differenza delle fortezze medievali che presentavano pareti alte, spesse e verticali, facile bersaglio delle pur ancora non evolute artiglierie, la fortificazione all'italiana o alla moderna prevede pareti basse ed inclinate a scarpa, con profilo poligonale da cui è possibile il tiro fiancheggiante con le artiglierie poste su bastioni, piattaforme e cavalieri e capaci di colpire il nemico di sorpresa da posizioni protette, da cannoniere situate in casamatte, con i cannoni "traditori" nascosti dagli orecchioni aggiunti ai bastioni. Sulla attribuzione del castello piacentino al Sangallo si è scritto e si discute ancora, ma è certo che i disegni erano a lui noti fin dal 1545 e che l'autore, o gli autori materiali, facevano parte della numerosa "cerchia sangallesca". II Sangallo ed il Sanmicheli erano già al servizio di Clemente VII, quando furono inviati nel 1526 a ispezionare le difese costiere dello stato pontificio ed a Parma e Piacenza per migliorarne le fortificazioni. Le fortezze realizzate da questi due architetti rappresenteranno per molto tempo in Italia e all'estero gli esempi per quelle future. E l'impronta sangallesca appare già dai suggerimenti, del 1526, per migliorare la costruzione delle mura piacentine, progettate da Francesco Fiorenzuoli da Viterbo, riguardanti l'irrobustimento del bastione san Benedetto (o della Trinità) mediante il larghissimo utilizzo di mattoni, a fronte dell'utilizzo di solo terra e legno. Ancora, come accennato prima, nel 1545 sotto Papa Paolo III, la revisione dei disegni del castello, disegni che furono visti dal Sangallo insieme al Buonarroti. Non è inutile ricordare che Sangallo era l'architetto del Papa ed era molto avversato dal Buonarroti, che ne prese il posto solo dopo la morte del Sangallo a Terni nel 1546.

La posizione del Castello rispetto alla cinta muraria, dopo molto peregrinare lungo le mura, trovò quella definitiva. A differenza della cittadella di Firenze, anch'essa sangallesca e tutta esterna alla città, all'infuori della cortina con la porta di accesso, il Castello di Piacenza sorse lungo le mura, ma all'interno di essa, di cui utilizzò il bastione san Benedetto, il primo costruito della città nel 1526, nell'area dell'omonimo monastero, i cui canonici regolari furono obbligati a traslocare. Il bastione è peraltro l'unico ad essere munito di orecchioni, a sezione circolare, che nascondevano all'eventuale assalitore le artiglierie poste nelle cannoniere pronte a sparare a pelo dell'acqua del  fossato. Questa architettura è un'opera mirabile dell'ingegno umano, a distanza di secoli, seppure danneggiata in parte, merita un posto importante fra i beni culturali della città.

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