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Cultura Pecorara

"Poesia ‘97”: una rivista piacentina rivisitata vent’anni dopo

Un'analisi veritiera della società del secolo scorso tuttora attuale

Capita, a volte perché è obiettivo di una ricerca, a volte casualmente, di imbattersi in qualcosa di interessante, sconosciuta fino a quel momento. Involontariamente o volontariamente, importante credo alla fine sia il risultato.  Ed il risultato è stato la scoperta di una rivista piacentina edita nel dicembre del ’97. Ma andiamo con ordine. La rivista di cui sto scrivendo è “Poesia ‘97”. Che al sottotitolo recita: Incontri Piacentini – Poesia Prosa. Rivista edita dalla Casa Editrice Farnesiana.

Quella in cui mi sono imbattuto è il quinto numero. Ho saputo poi che in tutto furono cinque i numeri, dal primo del ’93 all’ultimo del ’97. È interessante leggere i nomi di chi vi scriveva, conosciuti tutti, alcuni non più in questo pianeta, altri ancora attivi nel mondo artistico e letterario cittadino. Tra i firmatari ricordo di avere letto i nomi di Bottigelli, Galli, Concarotti, Igino Maj. Mi ha riportato agli anni novanta un nome soprattutto: Singarella, il pittore Singarella, uomo semplice e cordiale che aveva fatto della ricerca pittorica lo scopo della sua vita: uno studio che lo avvicinava alla pittura classica del tre-quattrocento, ad artisti quali il Beato Angelico per intenderci; pittore cui lo accomunavano personali doti di umanità e umiltà.Nella quarta di copertina l’ultima riga di uno scritto di Luigi Galli così recita: “… si potrebbero individuare anche piazze, chiese, viali”, nella prosa e nelle poesie contenute e, s’intende, piazze, chiese e viali di Piacenza!

Una rivista quindi tutta radicata nel piacentino. Non per questo rivista localistica, anzi. A testimonianza della profondità e lungimiranza degli scritti, vorrei ricordarne uno in particolare dal titolo: “La scienza: un mito in declino”. di W. G. ex istruttore direttivo di un Ente Pubblico.

Questo intervento, scritto qualche anno prima è comparso nel V numero, l’ultimo del 1997. Credo lo spunto sia stato dato dalla lettura di un autore che era da poco scomparso, il tedesco Michael Ende, di cui viene riportata la seguente frase: “Oggi la civiltà del computer, della sedicente comunicazione e della mondializzazione, vuole dei giovani grigi e invecchiati, dei bambini senza infanzia, degli uomini senza speranza e futuro”.

Michel Ende è l’autore di “La storia infinita”, dove è chiara la concezione di vita, unica forma di salvezza è la fantasia, forza capace di superare l’aridità di un mondo dominato da una economia del profitto, impersonale, basata sullo sfruttamento delle risorse umane e  sull’uso delle macchine.

Ma il nostro W. G. non si limita a sottolineare questo aspetto dell’odierna civiltà dei microprocessori (termine che veniva usato allora per definire quello che oggi chiamiamo computer), ma va ad analizzare con chirurgica precisione, le cause. Eccone alcune: “La riduzione dell’attività agricola e di allevamento ad intensa attività industriale… tutto il nostro sistema idrogeologico nazionale e centroeuropeo  in particolare  ( paragonato ad un alcolista cronico) …una società che fonda la sua essenza sul controllo della scienza e della tecnologia per cieco egoismo economico, l’uso sconsiderato della finanza internazionale… la rottura dell’equilibrio idrogeologico…”.

Ancora, a tutto ciò, si aggiunga: “ i prodotti devono essere venduti in continuazione e il loro invecchiamento deve artificiosamente, risultare sempre più rapido… il negoziante schiacciato dell’ipermercato e dalla grande catena commerciale, l’artigiano ed il piccolo imprenditore messi nella condizione di non reggere la concorrenza dell’industria a capitale esterno…”

Un’analisi sicuramente veritiera della società del secolo scorso che può essere oggi ripresentata senza ombra d’essere smentita. È profeticamente poetica la conclusione dell’intervento; “Nel deserto egiziano, all’ombra delle imponenti, scientificamente e tecnologicamente strabilianti piramidi, hanno poi vagato per millenni gruppi di beduini con i loro primitivi accampamenti”.

Ed allora cosa fare affinché non si giunga a vagare nel deserto del futuro come beduini? Intanto fermare questo treno impazzito, facciamolo subito ci intima l’autore, anzi ora, immediatamente tiriamo il freno d’allarme. Dopodiché riportiamo le lancette dell’orologio della scienza e della tecnologia a girare secondo il motto dei latini: “ festina lente”. Affrettati lentamente. 

Ma il problema a questo punto non è solo economico, ma etico. È il modo di rivedere come attraversare gli anni che ci sono dati vivere su questa terra. Ed allora ben vengano tutte quelle letture, che spesso vedo su face book, consigliate dal mio amico Melandri, dall’ “Elogio dell’ozio” di Bertrand Russel a “La lentezza” di Milan Kundera, da “Il diritto alla pigrizia” di Paul Lafargue a Luis Sepulveda con “Storia di una lumaca che scoprì l’importanza della lentezza”.

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