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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cultura Monticelli d'Ongina

Sgarbi a Monticelli: «La cappella del Bembo è la più importante opera italiana di decorazione tardogotica»

"Incursione", ieri pomeriggio, di Vittorio Sgarbi a Monticelli. Obiettivo: la cappella del Bembo nel castello Pallavicino/Casali

“Incursione”, ieri pomeriggio, di Vittorio Sgarbi a Monticelli. Obiettivo: la cappella del Bembo nel castello Pallavicino/Casali. Dopo l’anteprima a Palazzo Galli della Banca di Piacenza per la mostra di Francesco Ghittoni (Sgarbi ha parlato per un’ora a più di 300 persone, stipate in 3 sale videocollegate, più volte citando Foppiani e Armodio), il celebre critico (accompagnato da Corrado Sforza Fogliani) ha raggiunto Monticelli dove – accolto dal Sindaco Michele Sfriso e dal Comandante la locale stazione Carabinieri oltre che dai promotori del famoso museo etnografico ospitato nelle cantine del maniero – ha visitato, aiutandosi con una torcia a pila che aveva con sé, la celebre cappella voluta da Carlo Pallavicino (1452 ca – 1497) una volta nominato, da Callisto III,  vescovo di Lodi nel 1456 (su pressioni di Francesco Sforza) ed affrescata dai Bembo. Sgarbi ha giudicato il relativo ciclo pittorico “la più importante opera italiana di decorazione tardogotica” (compiutamente illustrato, com’è noto, in una preziosa pubblicazione di Laura Putti, con fotografie di Fabio Lunardini).

Carlo Pallavicino era figlio di Rolando il Magnifico – signore, coi fratelli, di Busseto, Cortemaggiore e Monticelli – e alla sua morte il castello pervenne, dopo alcuni anni, per successione ai marchesi Casali, che lo tennero dal 1567 al 1957, allorché venne acquistato dalla locale Parrocchia (che ne detiene tuttora la proprietà) per essere adibito ad opere parrocchiali, in particolare all’ospitalità degli operai che lavoravano alla diga sul Po.

Gli affreschi bembeschi – con, anche, il ritratto del vescovo Carlo e tuttora oggetto di studio da parte di studiosi nazionali – sono rimasti, com’è noto, coperti (a suo tempo, per ragioni sanitarie e di difesa dalle epidemie) per secoli, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, allorché vennero portati alla luce con un accurato restauro, al quale concorse anche la Banca di Piacenza (che concorse pure, anni dopo, all’erezione del sottostante museo etnografico).

Durante la visita è stato ricordato che ai Casali di Monticelli (come a suo tempo rivelato da uno scritto comparso sul periodico Bancaflash della Banca locale) apparteneva anche l’emissario di Enrico VIII alla corte papale, per lo scioglimento (non ottenuto) del famoso suo matrimonio da cui derivò poi lo scisma protestante.

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