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Economia

Casagrande (Confagri): «Troppa ipocrisia e poca economia nella visione dell’agricoltura italiana»

Il direttore di Confagricoltura Piacenza riflette sull'esito di un referendum in Svizzera in cui i cittadini hanno bocciato la proposta di modificare la costituzione per tutelare le iniziative agricole sulla cosiddetta «sovranità alimentare»

«In Italia vogliamo il locale e il tipico, il territoriale e genuino, ma siamo i primi a scegliere i prodotti in offerta al supermercato. Critichiamo la globalizzazione chattando sui vari social con la finestra aperta su Amazon e sulla spesa on-line. Come dire: il   cuore da una parte, il portafoglio dall’altra. Vogliamo i negozi di vicinato, ma destiniamo le nuove aree edificabili ai centri commerciali. E non meglio ci comportiamo a livello di sistema Paese con anacronistiche battaglie contro gli Ogm, contro gli agrofarmaci, perfino contro i trattati di libero scambio, con un oscurantismo da medioevo che nulla ha in comune con la fiducia nella scienza, la tensione allo sviluppo e la capacità di fare impresa che ha guidato la crescita italiana del dopoguerra, oggi così lontano anche nei princìpi fondamentali».

Riflette così Marco Casagrande, direttore di Confagricoltura Piacenza, sull’esito di un referendum in Svizzera, pubblicato qualche giorno fa, in cui i cittadini svizzeri hanno bocciato  la proposta di modificare la costituzione per tutelare le iniziative   agricole sulla cosiddetta «sovranità alimentare», vale a dire la promozione del cibo prodotto su base locale e stagionale - con   condizioni di lavoro eque, tutela per il benessere degli animali, protezione dell’ambiente e stop agli ogm - nonché la regolamentazione del mercato agricolo e dei prezzi per proteggere i piccoli produttori dal mercato internazionale.

Le iniziative sono state respinte rispettivamente dal 61,3% e dal 68,4% della popolazione con differenze tra i quattro cantoni che denotano approcci culturali diversi - la popolazione francofona era più propensa a tutelare l’agricoltura locale rispetto a quella germanica. Sta di fatto che la stroncatura è avvenuta perché l’introduzione di nuovi standard per la produzione alimentare avrebbe comportato un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, mentre l’idea della sovranità alimentare ha già messo in pericolo i progressi nel campo della modernizzazione della politica agricola e ha danneggiato il clima di innovazione.

«Degli svizzeri va apprezzata la razionalità - spiega Casagrande - e in questo caso la coerenza. Quanto sono disposto a spendere in più per avere un prodotto locale che richiami la tradizione senza il sostegno dell’innovazione tecnologica? Nulla,   perché posso avere comunque un prodotto sicuro e salubre a prezzi più competitivi. E così hanno rinunciato a quell’atteggiamento ipocrita che sta invece procurando tanti danni alla nostra agricoltura che vuole le aziende agricole ancorate ad una poco veritiera immagine bucolica senza al contempo prevedere politiche adeguate che ne assicurino una sostenibilità che deve essere prima di tutto economica».

Secondo gli svizzeri le norme già in vigore tutelavano a sufficienza la produzione di cibo sano e sostenibile, a ciò hanno aggiunto anche la presa di coscienza del fatto che - qualora fossero state approvate - le due iniziative avrebbero rischiato di far salire i prezzi dei beni alimentari e di creare conflitti con i partner commerciali di Berna.

«Riflettiamoci anche noi – rimarca il direttore – pur essendo favorevoli alla tutela delle produzioni tradizionali e comprendendo che in alcune aree marginali possono rappresentare un’opportunità per il mantenimento di un presidio territoriale, torniamo a ribadire che siamo invece   contrari   al   concetto   che   piccolo   e   tradizionale   è   necessariamente   sinonimo   di eccellenza. Come ho già avuto occasione di dire, torno a ripetere che l’innovazione di oggi sarà la tradizione di domani così come la tradizione di oggi è stata l’innovazione del passato. Non possiamo pensare di poter arginare la paura per la crescente apertura dei mercati e il malessere degli imprenditori agricoli per le conseguenze della globalizzazione con iniziative di facciata.  Servono  politiche  di  sviluppo  che valorizzino  le conoscenze  scientifiche e servono strategie di aggregazione dei produttori che riequilibrino i rapporti di filiera, perché ipocrisia ed economia fanno rima, ma non vanno d’accordo».

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