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Economia

Competizione non significa necessariamente crescita

La presentazione del libro del prof. Andrea Boitani sui luoghi comuni dell'economia alla Cattolica di Piacenza

“L’idea di questo libro mi è venuta facendo lezione ed ascoltando le domande dei miei allievi che mi chiedevano risposte di politica economica per affrontare l’attuale situazione”. Spiega così la genesi del suo ultimo libro “Miti e luoghi comuni sull’economia” il prof. Andrea Boitani docente di Economia politica alla Cattolica di Milano intervenuto alla Cattolica di Piacenza per una lezione agli allievi del prof. Francesco Daveri che insegna i corsi di Scenari Macroeconomici, International Finance, Politica Economica, nell’ambito di “Let’s book”, ciclo di incontri con scrittori.

 “In molti luoghi comuni- ha esordito- ci sono elementi di verità. Il tasso di cambio reale indicatore di competitività di costo, ma è un luogo comune che la competitività sia giusto giudizio per un andamento positivo o negativo. C’è competizione tra imprese; è chiaro che se cresce il PIL un paese dopo un po’ di anni sarà più ricco: è stato solo più produttivo, ma non competitivo e infatti in questi anni sono cresciuti di più i paesi meno competitivi. Medesimo discorso tra indice di competitività globale e ranking (classifica) di PIL pro-capite. La Germania in questo senso è un’eccezione storica guidata dall’export come gli Usa lo sono stati negli anni ’50 per la tecnologia. Quindi la crescita è competitività”. Il declino della produttività viene dunque da lontano; dal 207 si è assistito ad un riequilibrio della competitività tra paesi con l’Italia che perde nei confronti di Germania e Francia ma negli anni ’90 era superiore”. L’euro dunque secondo Boitani non ha causato l’attuale crisi economica europea. Anzi, prima della crisi ha prodotto una serie di frutti positivi. Ma certo dopo lo scoppio della recessione, nel 2008, la moneta unica e l’Unione monetaria hanno ridotto la flessibilità dei Paesi membri. Con l’euro i Paesi dell’Ue non sono più sovrani della propria moneta. E dunque non possono svalutare per favorire le esportazioni e ridurre il debito con i Paesi esteri.

“Ma il problema vero – chiarisce- è che questi meccanismi portano benefici solo nel breve periodo. Nel lungo periodo i problemi economici strutturali peggiorano. Di svalutazione in svalutazione si arriva al “default” del debito pubblico, come nell’Argentina del Duemila. L’uscita dall’euro, a parte i costi enormi, è del tutto illusoria. Forse funzionerebbe a breve, come ho detto, ma alla lunga sarebbe un disastro totale: la crisi e gli squilibri di finanza pubblica si aggraverebbero.

Gli squilibri che viviamo in Europa dipendono da molte cose. In Italia ad esempio la produttività è troppo bassa, mentre in Germania i salari sono cresciuti troppo poco. La soluzione non è uscire dall’euro, ma avere più Europa: istituire un bilancio federale per tutta l’Unione, coordinare le politiche monetarie a livello europeo. La risposta è un maggiore coordinamento, non una contrapposizione tra Stati. Se l’economia diventa cooperazione, anziché competizione, va meglio”.

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