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Economia

Confagricoltura, riparte la ricerca: «Ora dobbiamo recuperare il gap»

Enrico Chiesa, presidente Confagricoltura Piacenza: «La ricerca e l'innovazione genetica in agricoltura devono essere viste come una soluzione alle sfide globali, non come un problema»

«La legge di Stabilità ha previsto 21 milioni di euro per le biotecnologie sostenibili. Grazie al ministro Martina finalmente la ricerca genetica italiana, sempre messa al bando, può ripartire e favorire il progresso dell’agricoltura nazionale». Lo ha detto il presidente di Confagricoltura Mario Guidi in relazione agli investimenti per la ricerca pubblica: nella Legge di stabilità sono, infatti, stati stanziati 21 milioni per un progetto pubblico triennale che sarà gestito dal Crea, il Centro di ricerca specializzato del ministero delle politiche agricole, che punta al miglioramento genetico attraverso biotecnologie sostenibili.

«L'apertura del ministro Maurizio Martina alle biotecnologie è in linea con quello che abbiamo sempre sostenuto: la ricerca e l'innovazione genetica in agricoltura devono essere viste come una soluzione alle sfide globali, non come un problema – sottolinea Enrico Chiesa, presidente di Confagricoltura Piacenza – lo avevamo ribadito anche in occasione del convegno nazionale di Confagricoltura a Expo dal titolo "Geni italiani" dove si puntò il dito contro il grave deficit competitivo dell'agricoltura italiana auspicando una via italiana del miglioramento genetico».

Il ministro Martina ora dichiara che è necessario investire sulle migliori biotecnologie per tutelare le nostre produzioni principali. Confagricoltura non può che plaudire a questa apertura, auspicando, finalmente, il superamento dei blocchi contrapposti dei pro o contro la genomica. Strumenti Innovativi, come il genome editing e la cisgenesi, possono consentire un miglioramento varietale senza alterare le caratterizzazioni produttive del sistema italiano.

«Dobbiamo ora recuperare il gap nella ricerca che abbiamo accumulato negli ultimi quindici anni – sottolinea Chiesa – il nostro Paese aveva una luminosa tradizione di studi per il miglioramento varietale quando si è paralizzato tutto agli inizi degli anni duemila ed è stata bandita la sperimentazione in campo aperto. Sul nostro territorio, poi, possiamo vantare due prestigiosi centri di ricerca: l'università Cattolica con i suoi dipartimenti e il Centro di ricerca per la genomica e la postgenomica animale e vegetale di Fiorenzuola. Distinguendo tra biotech e cisgenesi, la posizione del ministro finalmente riapre le speranze che l'agricoltura italiana possa anch'essa tornare a progredire avvalendosi della ricerca genetica che utilizza e trae grande vantaggio dalla biodiversità. Le nuove tecnologie ora sono in grado di valorizzare le antiche varietà locali, producono risultati che non sono differenti da quelli ottenibili attraverso i miglioramenti della genomica convenzionale, ma sono diverse. Quest'apertura segna un importante cambio di passo. Resta tuttavia irrisolta la questione – prosegue Chiesa - secondo la quale in Italia le commodities intenzionali prodotte grazie alle tecniche di genomica si possono mangiare ma non produrre».

Gli agricoltori italiani acquistano l'87 per cento dei loro mangimi, spendendo ogni anno 800 milioni di euro per importarli dall'estero. Sono in aumento le importazioni da Sudamerica, Ucraina, ma anche da Francia e Spagna. «Abbiamo costi produttivi del 20 per cento più alti rispetto ai produttori che possono utilizzate sementi geneticamente migliorate – ricorda Chiesa - Come se ciò non bastasse, i nostri prodotti realizzano nel mercato uno o due euro in meno per quintale rispetto alle importazioni. E' facile comprendere che in questo mercato libero e globale, in cui si compete con mezzi diversi, le nostre produzioni non possono difendersi. Anche su questo fronte chiediamo una scelta di campo coerente».

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