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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Investire in capitale umano per uscire dalla crisi

Uno dei "maître à penser" del pensiero keynesiano contemporaneo, Paul Krugman (premio Nobel nel 2008) ha proposto una ricetta molto suggestiva, il classico "uovo di Colombo": investire in capitale umano. Il capitale umano, ossia la conoscenza tecnica, la cultura, la competenza professionale è uno degli elementi che la teoria economica ritiene più rilevanti per la crescita di lungo periodo di un'economia.

L’uomo della strada immagina gli economisti come personaggi austeri e severi, fautori di misure draconiane (lo stesso vale anche per le economiste donne: ogni allusione è… Beh, non del tutto casuale). In realtà il dibattito economico è molto più vivo e vivace di quanto non immaginino i non addetti ai lavori. Esistono diverse scuole di pensiero e diversi orientamenti.

Uno dei “maître à penser” del pensiero keynesiano contemporaneo, Paul Krugman (premio Nobel nel 2008) ha proposto una ricetta molto suggestiva, il classico “uovo di Colombo”: investire in capitale umano. Il capitale umano, ossia la conoscenza tecnica, la cultura, la competenza professionale è uno degli elementi che la teoria economica ritiene più rilevanti per la crescita di lungo periodo di un’economia. Tanto rilevante quanto le macchine e il capitale fisico che, in tempi di crisi finanziaria e di difficoltà per le imprese nel reperire finanziamenti dalle banche, può essere difficile da impiantare.

Ebbene, investire in capitale umano significa avere la determinazione e, soprattutto, il coraggio, di investire in istruzione, scuola e università. Per migliorare le conoscenze, la professionalità e la cultura di una nazione, elementi strettamente correlati all’efficienza del settore produttivo. Oltre ad esistere una forte correlazione statistica tra dotazione di capitale umano, investimenti in scuola, università e istruzione e crescita economica, il reclutamento di tanti cervelli fuggiti all’estero, con criteri rigorosamente meritocratici e selettivi, da inserire nelle nostre università ed istituzioni di ricerca, avrebbe una ricaduta immediata sulla domanda aggregata (e dunque, nel breve periodo contribuirebbe a combattere la recessione) ed aumenterebbe enormemente le potenzialità economiche delle imprese.

La Germania da sempre investe in università, cultura e ricerca, dunque in capitale umano. I risultati si vedono anche nell’organizzazione della società. Non a caso, oltre ad essere una nazione all’avanguardia della tecnologia, è anche la culla della filosofia moderna. Smettiamola di demolire la scuola, l’università e il settore della ricerca. Sono il nostro futuro. Forse, qualche volta, bisognerebbe ascoltare anche gli economisti non allineati ai dogmi dell’ortodossia. Non sono solo meno tetri e meno tristi. Sono anche più creativi. 

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