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Giovedì, 18 Aprile 2024
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Redazione

L’Europa, i mercati finanziari e i conflitti di interesse

In Italia sono molti i piccoli risparmiatori gravemente scottati dalle perdite di borsa. Spesso avevano affidato i loro risparmi a gestori di fondi o consulenti finanziari (in alcuni casi proposti dalla loro banca), assai più raramente scegliendo direttamente e in prima persona i titoli su cui investire. Oggi, come nei giorni peggiori per le nostre borse, tra gli operatori finanziari protagonisti dei mercati mondiali ci sono anche grandi banche, fondi pensione, fondi d'investimento, gruppi finanziari

In Italia sono molti i piccoli risparmiatori gravemente scottati dalle perdite di borsa. Spesso avevano affidato i loro risparmi a gestori di fondi o consulenti finanziari (in alcuni casi proposti dalla loro banca), assai più raramente scegliendo direttamente e in prima persona i titoli su cui investire. Oggi, come nei giorni peggiori per le nostre borse, tra gli operatori finanziari protagonisti dei mercati mondiali ci sono anche grandi banche, fondi pensione, fondi d’investimento, gruppi finanziari. E tra questi, anche soggetti economici a  cui sono legate Goldman Sachs e Morgan Stanley, le famose agenzie di rating che tante volte abbiamo sentito emettere sentenze inappellabili su aziende, banche, società finanziarie, stati e nazioni.

Anche nei giorni di massima turbolenza finanziaria, non è mancato chi ha fatto notare il potenziale conflitto di interessi esistente tra le agenzie di rating e le società di cui le stesse agenzie di rating emettono valutazioni: è ben noto, ad esempio, che Standard & Poor’s fa parte del gruppo editoriale Mc Graw Hill (la casa editrice che annovera tra le sue pubblicazioni “Business Week”) e che un’altra grande agenzia di rating, Moody’s, è controllata da Warren Buffett che annovera, tra i suoi numerosi investimenti e proprietà, quella del quotidiano “Washington Post”.

I mezzi di comunicazione sono fondamentali per qualsiasi strategia economica o aziendale o di gruppo e questo vale a maggior ragione per i mezzi di comunicazione ultraveloci, poiché è noto che i profitti borsistici si concretizzano sapendo cogliere le oscillazioni che i titoli hanno nell’arco di mezz’ora o di venti minuti. Questo è uno dei tanti esempi che si possono fare di conflitti di interesse e “assenza di governance” nei mercati finanziari. Viviamo in un unico mercato finanziario mondiale globalizzato e, diversamente da ciò che avveniva prima della globalizzazione, non esiste un’autorità sovranazionale universalmente riconosciuta che si occupi della stabilità finanziaria generale.

E questa assenza si è davvero fatta sentire! Se l’inizio della globalizzazione dei mercati è collocabile all’inizio degli Anni Ottanta, da allora, con precisione impressionante, abbiamo assistito ad una crisi finanziaria generale ogni 10 anni: nel 1987 la crisi di Wall Street, nel 1997 la Crisi Asiatica (seguita a breve distanza, nel 1998 dalla crisi della borsa russa), nell’estate 2007 la crisi dei sub prime, causa scatenante dell’attuale recessione. In tempi non sospetti, in occasione delle “Lezioni Arcelli” del marzo 2007, organizzate del CESPEM dell’Università Cattolica, alcuni dei relatori intervenuti, Antonio Marzano e Marcello Messori, due prestigiosi economisti di diverso orientamento, concordavano con una mia osservazione contenuta nel mio intervento introduttivo: i mercati finanziari mondiali sono privi di governance e di supervisione e l’istituzione di qualche autorità sovranazionale investita di un ruolo di governance e di controllo doveva essere una priorità. Ora come allora. Naturalmente il cammino è lungo, complesso e difficile.

Tuttavia faremmo bene ad iniziare dall’Europa. L’Europa non può e non deve essere una semplice moneta, gestita da tecnocrati il cui legame con il consenso democratico è tenue ed indiretto. E’ impensabile che, a fronte di una politica monetaria comune, ci si trovi ad avere una politica fiscale scoordinata tra vari Paesi, disarmonica e piena di contraddizioni. A costo di creare la tanto temuta “Europa a due velocità”, che includa in un ambito più ristretto i Paesi più inclini a coordinare le politiche fiscali occorre creare al più presto un Governo Europeo che sia democraticamente eletto, che abbia deleghe su alcune (poche) tematiche di politica fiscale coordinata e di armonizzazione fiscale, per permetterci di competere alla pari con i colossi USA e Cina, dove anche le politiche fiscali sono decise rapidamente e tempestivamente dai governi, che hanno politiche monetarie e fiscali coordinate.

Questo ipotetico governo dovrebbe finalmente essere eletto direttamente dai cittadini europei, ad essi dovrebbe rispendere direttamente delle proprie scelte e soprattutto dei propri errori, in modo che i cittadini europei lo possano mandare a casa democraticamente, quando disapprovano le sue scelte. Sono davvero pochi i politici europei ad aver posto come priorità, con analisi dettagliate e credibili (e non con semplici sparate demagogiche), l’importanza di avere un’autorità politica europea democraticamente eletta e ad aver capito l’importanza di una politica fiscale europea comune, che intervenga su poche questioni condivise e che, soprattutto, difenda il modello sociale europeo e il welfare europeo dalla sleale concorrenza di prezzo da parte di Paesi in cui il costo del lavoro, i diritti umani e la vita dei propri cittadini hanno poco valore. La mancata difesa dalla concorrenza sleale di Paesi non democratici, non solo ha causato il fallimento di molte imprese europee e una disoccupazione altissima, ma rende difficile anche la strada della ripresa.

Uno dei pochi ad avere posto come priorità un’autorità politica europea, che difenda un modello di welfare europeo e attui politiche fiscali “federali” è François Hollande. E’ sperabile che presto sia seguito da vari altri politici di tutti gli orientamenti. Perché, in termini economici, è impossibile, nel lungo periodo, gestire la politica monetaria senza coordinarla con la politica fiscale e la politica fiscale non può essere gestita in modo contraddittorio e disarmonico da vari Paesi con la stessa moneta.Un esempio semplice e diretto è quello della Tobin Tax, la tassa che colpirebbe (in misura molto bassa, con ono 0,2-0,5%) le transazioni finanziarie. Questa tassa graverebbe sugli speculatori professionisti, coloro che in una settimana compiono migliaia e migliaia di transazioni e di spostamenti di denaro da una borsa all’altra del pianeta. Non colpirebbe quasi per niente i veri imprenditori o i risparmiatori (e i fondi pensione o i fondi di investimento) che investono in borsa con un’ottica di lungo periodo, scegliendo un portafoglio di alcuni titoli affidabili.

L’effetto della Tobin Tax sarebbe quello di dissuadere gli speculatori professionisti (che nelle fasi di perturbazioni finanziarie costituiscono una quota significativa degli investitori), mentre gli investitori con un’ottica di lungo periodo (che hanno peraltro la qualità di rendere i mercati più stabili, meno volatili e meno rischiosi, facilitando l’identificazione tra valore del titolo e valore reale dell’impresa che rappresenta) non sarebbero quasi per nulla disturbati da questa tassa. Naturalmente non avrebbe alcun senso che un singolo Paese europeo fissasse da solo la Tobin Tax sul proprio mercato: la Tobin Tax ha senso solo se viene fissata congiuntamente dai Paesi dell’euro. Persino un politico conservatore e ultraliberista come Sarkozy ha proposto recentemente la Tobin Tax in Europa.

L’area euro è ormai l’area economica più significativa del mondo. Gli investitori internazionali che agiscono in un’ottica di lungo periodo non potrebbero fare a meno di detenere una quota del loro portafoglio in attività legate ai mercati finanziari europei, quindi l’Europa non sarebbe esclusa dagli investimenti finanziari mondiali. Scaccerebbe gli speculatori. Quindi avrebbe delle borse meno volatili, meno soggette alle perturbazioni generate degli speculatori, ossia, meno rischiose e più attraenti per i risparmiatori. Che aspettiamo allora? Aspettiamo solo che l’Europa si dia una mossa. Magari anche solo un’Europa a due velocità, con un nucleo più ristretto di Paesi più integrati e più decisi a coordinare le proprie politiche fiscali, decida di stabilire un governo europeo, veramente democratico, in grado di prendere le decisioni economiche (non solo monetarie) che riguardano tutti. Il fatto è che, purtroppo, non c’è tempo da perdere.

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