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Venerdì, 29 Marzo 2024
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Redazione

Spending review e tagli. Perché la Chiesa non interviene contro l'evasione?

Ancora una volta il Governo è stato costretto ad agire a causa della pressione dei mercati finanziari internazionali. Si tratta di misure prese in affanno, in fretta e furia, che hanno la natura di "tagli lineari"

Anche Piacenza sarà pesantemente colpita dalla “spending review” di Monti. Questa volta, le vittime sacrificali della recessione sono i dipendenti della sanità e gli utenti del servizio sanitario. Le cifre sono note a tutti: in Emilia Romagna, 6.500 posti di lavoro in meno e 4.000 posti letto in meno su un totale di 20.000, pari al 20% dei posti letto complessivi. Oltre alle famiglie che subiranno la tragedia della disoccupazione, la riduzione del numero di posti letto è talmente grande, da allungare spaventosamente i tempi di attesa per i ricoveri, e da ridurre, di conseguenza, il grado effettivo di copertura per i cittadini in caso di malattia. 

Ancora una volta il Governo è stato costretto ad agire a causa della pressione dei mercati finanziari internazionali. Si tratta di misure prese in affanno, in fretta e furia, che hanno la natura di “tagli lineari”. Nel testo governativo non vi è nessuna traccia di riorganizzazione della spesa sanitaria, né di indagini dettagliate sulle aree di sprechi o di inefficienze, né tantomeno di semplificazione della burocrazia… In modo un po’ meno elegante, a Roma direbbero “ndò cojo, cojo”...

Se parliamo di salute, parliamo di diritto alla vita, ossia di persone che perderanno la propria vita a causa della difficoltà di ricevere cure mediche adeguate e tempestive, in una società in cui il diritto alla salute (e di conseguenza, ad una vita molto più lunga e serena) sembra dipendere sempre più dalla ricchezza individuale. Mi aspetterei, a questo punto, di vedere una forte mobilitazione pubblica di tutti quei movimenti religiosi che si dicono difensori del diritto alla vita contro le ben note cause che ci hanno portato a questi tagli e a questi sacrifici: in primo luogo l’altissima evasione fiscale, senza la quale il rapporto deficit/PIL dell’Italia sarebbe simile a quello della Francia e, senza la cui persistenza pluridecennale, anche il rapporto debito pubblico/PIL, sarebbe allineato a quello dei Paesi europei più virtuosi e non ci obbligherebbe a tutti questi sacrifici.

In secondo luogo, la “deregulation finanziaria”, voluta dagli ambienti ultra-liberisti anglosassoni, che hanno plasmato una globalizzazione senza regole e senza nessun controllo da parte delle autorità monetarie internazionali, consentendo le ben note operazioni speculative (cartolarizzazione di mutui inesigibili e fasulli, operazioni di copertura speculative su titoli complessi e molte altre amenità del mondo onnipotente e senza regole della finanza ultra-liberista) che scatenarono la crisi finanziaria seguita dalla recessione internazionale che stiamo vivendo in questi giorni.

In terzo luogo, l’assenza di dispositivi (come la “Tobin tax”) che limitino, almeno a livello europeo, i danni sociali degli speculatori professionisti internazionali. Come è noto, la “Tobin tax” consisterebbe in una piccolissima tassa (tra lo 0,1% e lo 0,5%) sulle transazioni finanziarie in entrata e in uscita dai mercati finanziari nazionali. L’unica seria critica ad essa rivolta è quella che rischierebbe di causare l’uscita dei capitali finanziari dai Paesi che la adottano, ma si tratta di una critica assolutamente falsa ed infondata. Infatti, nei mercati finanziari internazionali, dal punto di vista statistico è possibile individuare dei movimenti di prezzo di lungo periodo (ossia osservabili su intervalli pluriennali) e di breve periodo (osservabili su intervalli trimestrali, mensili, settimanali o giornalieri) o, addirittura, di brevissimo periodo (osservabili su intervalli orari, nell’arco di una giornata).

Ed esistono dunque vari tipi di investitori finanziari, con due estremi ben distinti: ad un estremo ci sono gli investitori con un’ottica di “lungo periodo”, che cercano di detenere un buon portafoglio di titoli, ben diversificato a livello internazionale (questo gruppo di operatori include anche i “veri imprenditori” che operano nell’economia reale, entrando in un Paese estero con un progetto industriale di largo respiro), all’estremo opposto gli speculatori di professione, che operano con un’ottica di brevissimo periodo e compiono migliaia e migliaia di transazioni alla settimana, per sfruttare le variazioni di prezzo dei titoli che si verificano di ora in ora o, al più tardi, di giorno in giorno.

Bene, la “Tobin tax” si limiterebbe a scoraggiare solo ed esclusivamente questo secondo gruppo di operatori finanziari e se l’Europa (che è l’area economica più grande del mondo in termini di PIL e quindi non può essere trascurata da un investitore che volesse ben diversificare il proprio portafoglio titoli) adottasse la “Tobin tax”, si limiterebbe a scoraggiare gli speculatori di professione, riducendo di molto la volatilità dei propri titoli azionari. Ma poiché la volatilità è proprio la principale fonte di rischio dell’investimento in azioni, non sarebbe dunque più desiderabile, per investitori avversi al rischio, un mercato finanziario con minore volatilità? E con minore volatilità dei mercati finanziari europei avremmo sicuramente evitato tutti i duri sacrifici imposti dall’aumento dello spread, che costringe le autorità a drastici interventi per ridurre il deficit pubblico, costrette a compensare la maggior spesa per interessi passivi sul debito pubblico. 

Mi aspetterei dunque una forte e poderosa mobilitazione pubblica dei movimenti religiosi e, soprattutto, delle gerarchie ecclesiastiche, contro l’evasione fiscale, contro la “deregulation” finanziaria e per la Tobin tax in Europa... Mi domando perché questo non avvenga… Perché i temi in cui ci dibattiamo sono anche e soprattutto temi etici. Come sosteneva Amartya Sen, l’etica e l’economia sono strettamente legate. E su temi etici di carattere mondiale, le chiese (cattolica, protestanti e ortodosse) non possono esimersi dal prendere posizione e mobilitarsi.

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