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Troppi cinghiali e ungulati: bisogna cambiare sistema

Dal seminario dell’Accademia dei Georgofili e Confagricoltura Piacenza un punto di partenza

Fatto salvo che avere stime precise sulla fauna selvatica resta un’impresa, in Emilia-Romagna sono stati condotti studi approfonditi che, incrociati, rendono tutti la stessa fotografia: specie alloctone e autoctone che proliferano a dismisura esponendo l’agricoltura a danni ingenti e la popolazione civile a pericoli e incidenti. La storia di una convivenza difficile che è stata tratteggiata dai diversi interventi in programma nel seminario dedicato al tema e organizzato venerdì 25 novembre da Confagricoltura Piacenza a dalla Sezione Est dell’Accademia dei Georgofili.  Oltre settanta i presenti tra cui otto Georgofili ed altrettanti docenti universitari che sono intervenuti nel dibattito a seguito delle relazioni tecniche. Michele Stanca, vicepresidente dell’Accademia dei Georgofili ha aperto i lavori dopo i saluti del presidente di Confagricoltura Piacenza, Enrico Chiesa, mentre le conclusioni sono state tratte dal presidente regionale di Confagricoltura, Gianni Tosi, e dall’assessore regionale all’Agricoltura, Simona Caselli. Enrico Merli, funzionario della Regione Emilia Romagna, ha indicato come nella nostra provincia la popolazione di caprioli sia passata dai 3.939 censiti nel 2005 a 22.539 nel 2013 (in Italia nel 2016 ne sono stati censiti 482.500) con un incremento, su base nazionale del 465% dal 1980. Incrementi esponenziali che non hanno però modificato la classifica delle specie in base ai danni arrecati la quale vede il cinghiale, a Piacenza, come principale responsabile dei danni liquidati dagli ATC con il 96% dei fondi destinati. I dati sono differenti nei diversi territori – ha poi spiegato Alberto Magnoni, funzionario regionale che ha parlato di stime dei danni –, precisando come nel modenese sia grave il problema dello storno che danneggia i frutteti, ma i cinghiali, e sono 22.150 quelli abbattuti in Emilia – Romagna nell’ultima annualità censita dall’osservatorio faunistico regionale, restano un problema trasversale in tutta la regione, come non ha mancato di evidenziare anche l’assessore Caselli. Magnoni ha inoltre evidenziato come, su scala regionale, la mappatura degli indennizzi dei danni sia speculare a quella delle risorse spese per i piani di prevenzione. “I dati ci dicono che i metodi utilizzati sino ad oggi non sono sufficientemente efficaci – ha sottolineato l’agronomo e georgofilo Michele Lodigiani curatore dell’iniziativa -. La scarsa utilità dei metodi di difesa è stata verificata, la situazione così è fuori controllo, chiediamo che vengano attuate strategie di contenimento più efficaci”. A conferma di ciò Rino Ghelfi, docente dell’Università di Bologna, dopo una dotta disquisizione sui criteri estimativi, ha sottolineato che l’Università di Bologna è stata costretta, per questa ragione, a sospendere la sperimentazione in campo. Delle coraggiose scelte della regione Toscana, che ha rotto il tabù dell’intangibilità della fauna in sovrannumero, ha parlato, invece, Michele Cassano, del Consorzio Chianti Classico. “Chiediamo equilibrio – ha detto Tosi -. La densità della fauna selvatica deve essere rispettata”. “Abbiamo un quadro normativo completo. Abbiamo i dati che ci servono. Con il nuovo piano faunistico venatorio – ha detto Caselli – avremo degli obiettivi di gestione chiarissimi, ma dobbiamo riformare la pianificazione delle azioni gestionali: chi fa cosa e come lo fa, perché oggi non funziona. Sulla questione dei danni da fauna o facciamo un'alleanza nuova o non ne usciamo. Mi faccio carico di chiedere interlocuzioni e portare soluzioni nelle sedi competenti. Se va modificata una direttiva europea andiamo in quella sede. La mia preoccupazione, una volta redatto il piano faunistico, è però far sì che funzioni facendo interagire correttamente i vari attori sul territorio che oggi non interagiscono. Gli obiettivi devono essere rispettati. Sulle specie non protette impattanti - ha poi aggiunto - bisogna adottare misure gestionali anche drastiche nei territori con maggiore criticità”. 

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