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Nel 750esimo anniversario della nascita di Dante una conversazione con Luciano Formisano

"Dante: viaggio di vita e di poetica, da Firenze a Ravenna", questo l'argomento offerto dal professore Luciano Formisano, Ordinario Cattedratico filologo presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna alla affollata platea dell'Auditorium della Ricci Oddi

“Dante: viaggio di vita e di poetica, da Firenze a Ravenna”, questo l’argomento offerto dal professore Luciano Formisano, Ordinario Cattedratico filologo presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna, legato peraltro a Piacenza da profondi affetti personali, alla affollata platea dell’Auditorium della Ricci Oddi, presente anche l’Assessore comunale alla Cultura Tiziana Albasi.

Formisano ha percorso, con corposa e dettagliata conversazione, il cammino poetico-letterario dantesco, dalla Vita Nova al Convivio, dal De Vulgari Eloquentia alle Ecloghe e ad opere minori, fino ovviamente alla universale “Commedia” (definita “Divina” dal Boccaccio, nella metà del secolo XIV); il tutto accompagnato da numerose Letture delle cantiche compiute da Roberto Laurenzano, Presidente del Comitato provinciale della soc. Dante, che ha organizzato l’incontro.

Punto nodale della conversazione è stata la travagliata vita personale del Poeta, costretto con ingiusta e faziosa sentenza all’esilio, per evitare di “bruciare sul rogo”, a cui era stato assurdamente condannato. Invero, Dante aveva ricoperto elevatissime “Cariche” Comunali nella “sua” Firenze, compiendo le funzioni con indubbia dignità e imparzialità, anche ove si trattasse di amici (vedi confino per lo stilnovista Guido Cavalcanti, ad esempio). Benché Guelfo e quindi filo papalino nel senso esclusivo del riconoscimento massimo del potere “spirituale” del Papa - ma con esclusioni di ingerenze pontificie nella politica temporale, propria solo dell’Imperatore illuminato da Dio - non poteva che essere inviso a Pontefici del tempo, e “in primis” al ben noto Papa Bonifacio VIII regnante. Fra i due l’astio e l’acerrima inimicizia fu, in sostanza, quotidiana. Dante, condannato a morte per rogo mentre era stato (artatamente) inviato a Roma, per ragioni “diplomatiche” verso lo Stato Pontificio, apprese la notizia in corso di rientro (pare all’altezza di Siena) e non rivide più Firenze. 

Peregrinò per varie Corti, sempre comunque osannato e stimato per dignità e prestigio letterario e personale, da Forlì’, a Verona, a Ravenna, a Lucca, e viaggiò molto (Padova, Treviso, Bologna, anche Parigi) e giunse a Piacenza forse un paio di volte; lo si deduce anche da talune citazioni della nostra città, di cui il Poeta mostrerebbe di avere conoscenza concreta: percorse certamente anche per le vie di una Piacenza floridissima sul piano finanziario e commerciale del cui dialetto fu estimatore (assieme a quello ferrarese), nel suo personale desiderio di vedere realizzata una lingua “unica” italica, il Volgare”, un valido amalgama delle migliori espressività regionali, in sostituzione alternativa al Latino, che rimaneva lingua di cultura. 

Il suo sogno linguistico si realizzò, poi ; ma non si realizzò mai  il suo massimo desiderio di poter rivedere la “sua” Firenze, tornandovi da onorato e celebrato Poeta. Rimase un “sogno” fino alla tomba, in Ravenna, ove Dante morì nel 1321, a seguito di malaria (che al tempo era malattia grave, non certo curabile come oggi) contratta sulla laguna veneta e lungo il Po, nel ritornare da un’ambasceria a Venezia svolta per Guido da Polenta, Signore di Ravenna, presso la cui Corte era prestigiosamente ospitato. Aveva solo 56 anni.

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