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Venerdì, 29 Marzo 2024
Politica

I costituzionalisti della Statale a confronto a Palazzo Galli sul Referendum

La prof.ssa Violini: «La riforma ha una coerenza, è ora di provare a cambiare l'attuale struttura del Parlamento». Il professor Angiolini: «Cento senatori per rappresentare i territori sono pochi mentre i deputati alla Camera sono troppi»

Palazzo Galli gremito per il dibattito sul Referendum Costituzionale di domenica 4 dicembre. Moderati dall’avvocato Corrado Sforza Fogliani, presidente del comitato esecutivo della Banca di Piacenza e presidente di Assopopolari, due docenti di diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Milano hanno dato vita, giovedì 1 dicembre, a un pacato confronto nel merito della riforma.

«Più si avvicina il giorno della votazioni – ha detto il prof. Vittorio Angiolini, che voterà No al quesito referendario - e meno si parla di quello su cui dobbiamo votare: dopo domenica diciamo subito che le banche efficienti continueranno a lavorare, i bambini a nascere e il Paese a funzionare. Mi sembra eccessivo definire epocale questo voto, ma è importante perché dovremo tenerci per qualche tempo questo testo. A malincuore, dopo una lettura attenta della riforma, ho deciso per il No: questo testo ha una serie di problemi. Promette alcune cose che non può fare, i risparmi sono tra i 40 milioni e i 70 milioni di euro all’anno, che sono molto poco nel bilancio dello Stato. Non esiste il problema di rendere più rapida la produzione di leggi: siamo quelli che ne hanno di più. Il Senato verrà eletto mettendo insieme due principi difficili: le volontà dei cittadini con quelle dei consigli regionali. Il Cnel è difatti già soppresso da anni. E non penso che verranno eliminati i contenziosi tra Stato e Regioni».

«Questa riforma – ha invece spiegato da par suo la prof.ssa Lorenza Violini per il fronte del Sì - come ogni testo necessiterà di correzioni in futuro, ma c’è una coerenza interna che fa perno sull’articolo I e V della seconda parte della Costituzione. Ci si è concentrati sulla struttura del Parlamento e sul rapporto tra Stato e Regioni. Il Parlamento viene ripensato, togliendo forza al bicameralismo perfetto, criticato già negli anni successivi all’entrata in vigore della Costituzione. A partire dagli anni ’70 le Regioni hanno assunto competenze amministrative. Il Senato non diventerà più il gemello della Camera, ma sarà una novità che darà voce alle realtà regionali. In Italia diverse regioni hanno problemi, il regionalismo stesso ha delle difficoltà: è giusto aiutare questi enti a uscire dalla loro attuale dimensione per confrontarsi con il nostro parlamento nazionale. Tanti elementi come l’abolizione del Cnel sono di contorno. La sola Camera è responsabile dell’indirizzo politico del Governo, e il Senato riporterà al centro l’esperienza regionale. Credo che sia il Parlamento che le Regioni abbiano bisogno di forme di cambiamento, per questo voterò favorevolmente la riforma».

«Il monocameralismo – è invece il pensiero del costituzionalista Angiolini - mi fa paura. Da noi non è formato come negli Stati federali. Se finiscono lì i consiglieri regionali andranno a rappresentare i loro partiti, non i territori di provenienza. Poi sappiamo che ci sarà un sindaco per ogni regione al Senato, e le regioni metteranno quello più comodo per i partiti…Il disegno è troppo complicato, si potevano ridurre gli onorevoli in modo diverso. Se devo rappresentare regioni e comuni con cento senatori e la Camera rimane con 630 deputati, un numero nettamente sproporzionato…Lo definirei un bicameralismo “zoppo”. Il modello dovrebbe essere quello americano: il Parlamento non tocca il presidente e il presidente non tocca il Parlamento, così le responsabilità sono chiare. La riduzione dei senatori c’è, non si capisce perché la Camera non è stata toccata. Tutti siamo favorevoli d’istinto a ridurli. Un conto è ridurre quelli che fanno i politici, un conto è però ridurre le persone che stanno dietro agli enti pubblici. Qua sta il problema».

«Quello americano – ha aggiunto Violini per il Sì - è un modello federale, il presidente però affronta il giudizio elettorale e il Senato dopo due anni cambia i suoi rappresentanti tramite votazioni e si capisce se chi è alla presidenza sta facendo bene. È possibile invece che tra i 100 senatori si creino sinergie diverse da quelle evocate dal No, sinergie in grado di difendere i territori. Votando sì le Province verranno poi eliminate dalla Costituzione. Sull’Area Vasta le Regioni avranno più potere, ci sarà una riorganizzazione dei territori. Ciò che veramente costa ai cittadini è l’apparato, di qualsiasi ente, di qualsiasi livello. Non tanto il taglio degli stipendi di quei senatori».

Angiolini sul tema dei risparmi si è espresso in modo contrariato: «Mi indigna come cittadino. Il risparmio della riforma è una bazzecola, e m’indigna il fatto che per ridurre i costi della politica si utilizzi una Riforma Costituzionale. Se li riducano da soli i costi! Comunque non so cosa diventerà l’Area Vasta, speriamo che non diventi come le Province volute da Delrio: enti che costavano come prima senza che i cittadini eleggessero i politici. Il problema vero sono gli apparati, soprattutto quelli di nomina politica. I direttori del Comune scelti dal sindaco, che prendono dieci volte più dei tecnici di quell’ente che si prendono tutte le responsabilità, ne sono un chiaro esempio».

Infine, due parole anche sulla revisione dell’articolo V, cuore della riforma. «Togliamoci la demagogia – ha risposto Angiolini - che lo Stato funzioni peggio delle Regioni. Pensiamo alle grandi opere, che danno molto lavoro, ma dovrebbero dare anche un risultato che serva. La Calabria si è opposta a costruzioni insulse proposte dallo Stato sulla sua terra, se vogliamo fare qualche esempio». Il docente ha fortemente criticato la clausola di supremazia e le autonomie locali ancora non “attaccate” da questa riforma. «La riforma può avere un effetto negativo su problemi già esistenti».

«Abbiamo già da tempo – ha osservato ancora Violini - problemi nel rapporto tra Stato e Regioni: il centro tirava già via molte competenze. Ora ci saranno competenze esclusive dei due livelli istituzionali, altre saranno trasversali e poi altre di “programmazione e servizio” verranno lasciate in modo preciso alle Regioni. Lo Stato riprende così in mano il suo compito di uniformare e dare le regole generali, alle Regioni spetta il governo del territorio. Non possiamo vivere ancora quell’eterno conflitto di competenze che ha contrassegnato questi decenni. Così come è strutturato oggi non funziona, proviamo a cambiare».

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