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«La provincia di Piacenza cancellata perché non più efficiente»

L'associazione "Piacenza che Verrà" interviene nel dibattito sull'abolizione delle province: «Non a caso - afferma l'associazione - il governo parla di riordino e non di cancellazione: qualunque provincia è oggi impopolare, se non per chi vi sta lavorando dentro»

«Il dibattito sull’exitus della nostra Provincia andrebbe indirizzato altrove: non più provincia sì o provincia no; tanto meno, se sia meglio accodarsi al treno di Milano invece che a quello di Bologna. Difatti, la ragione numero uno per la quale la provincia di Piacenza è stata tolta, sta nel non essere più efficiente, piuttosto che nell’essersi dimostrata troppo onerosa». Lo afferma in un intervento l'associazione Piacenza che verrà, intervenendo sul dibattito circa l'abolizione della provincia di Piacenza dopo le recenti decisioni del Governo in merito ai tagli sulla spesa pubblica.

«Non a caso - afferma l'associazione - il governo parla di riordino e non di cancellazione: qualunque provincia è oggi impopolare, se non per chi vi sta lavorando dentro. Inoltre, temi indubbiamente fascinosi, in cui riaffiora la nostra storia (l’esser primogenita) e la nostra tradizione (parlata e cucina sono quelle di chi abita sotto il Po), ripetutamente ripresi ed enfatizzati negli ultimi giorni tempi, non tengono conto di una novità che si chiama Europa. Se spread e BCE impongono una perdita secca di sovranità per ciascuno stato unitario, erodendo la solidità economica su cui finora ognuno di noi ha basato la propria vita lavorativa e la sua sicurezza  previdenziale, il vero problema è prepararsi a fronteggiare non più la rapacità di Roma e di Bologna (o di Milano, è l’istess), bensì quella di Wall Street o di Shangai». 

«E non si dica subito, visto che noi piacentini superiamo perfino i romani in disincanto, che nulla noi possiamo, poveri abitanti di Piacenza e non-più-provincia, per evitare che i mercati ci disintegrino. Proprio aspettando che una regione piuttosto dell’altra decida da lontano cosa sia meglio per noi qui e ora, dimostriamo l’indifferenza sostanziale, che molti a nord delle Alpi ci rimproverano. Qui e ora per enfatizzare la lontananza, non solo fisica, di qualunque Ente che non sia, nell’era dell’informazione continua e superveloce, sufficientemente dentro un problema, sufficientemente nostro per garantirci, sufficientemente equo come sarebbe un sistema di controllo condiviso tra ex-province vicine.Indipendentemente dal confine regionale». 

«Nel fare sistema con in nostri vicini, facciamo qualcosa in prima persona, smettendo gli abiti consueti e sterili della lamentazione collettiva.Crediamo in noi stessi e nelle nostre forze, tenendo presente che siamo europei e pericolosamente in via di colonizzazione da parte di altri europei.Siamo piccoli, certo, ma apparteniamo al popolo che da Lodi arriva a Mantova, passando per Cremona, Parma, Reggio.Siamo al centro di una realtà storica ed economica che sarebbe anche sviluppo comune, se solo imparassimo a fare sistema.Non c’entra Milano o Bologna, entrambe vengono dopo: c’entrano le due sponde sul Po, entrambe italiane.Come in un Land tedesco, si lavora per l’affermazione dei valori degli abitanti di quel luogo, secondo un  modello di macro-provincia, in superamento di quello delle regioni stesse, del quale si avverte onestamente la polverosità». 

«Qualora un referendum proprio si ostini a volerci includere in lombardia o in Emilia, allora, per scegliere, affidiamoci ancora un volta all’onestà dei numeri: se i 4/5 del bilancio regionale si deve al costo della sanità, scegliamo, tra i due, il modello sanitario meno costoso, visto che, comunque sia, sembriamo cascare bene. In un modo (Land e superamento del confine regionale) o nell’altro (Lombardia o Emilia, quella più a buon mercato), per recuperare prima efficienza e poi risparmio,  la provincia di Piacenza va dunque accorpata a realtà più grandi;  e bisogna ridisegnare i compiti della erigenda istituzione.Sia essa con Lodi  e Cremona o con Parma, va preservata la possibilità per noi di poterci esprimere autonomamente, vale a dire di rappresentare le nostre peculiarità e i nostri bisogni.Occorre andare verso la direzione che più ci garantisca sul piano del dialogo e del confronto reciproco.Tenendo presente che la vocazione imprenditoriale piacentina, oggi in  apparenza meno appariscente di prima, mantiene almeno due basi solide, quella logistica e quella agricola: fare sistema con altri - finalmente - potrebbe essere un’opportunità contrastare il declino in entrambi i settori». 

«La vera sfida da vincere è però quella di evitare che in un’Europa germanizzata noi si finisca per garantire l’elevato tenore di vita di tedeschi e sodali.Tenendo presente, che dall’ordine in corso non vi è ritorno credibile, pena l’uscita dall’euro e l’inizio di un ballo monetario da stato sudamericano. I politici piacentini, soprattutto, smettano di recriminare per il buon lavoro fatto: ci crediamo e ringraziamo; purchè si sentano in aspettativa e comincino a comportarsi da politici veri, capaci di vedere oltre la loro poltrona, in grado di allevare successori che parlino le lingue, siano più veloci di loro a interpretare i cambiamenti e sappiano volare alto. Spostino il loro interesse, dalla provincia che fummo, al tenore di vita che ci riguarderà e al sistema economico in cui sapremo stare; speriamo sia un confronto collettivo e concreto tra imprenditori, cittadini e politici, dove gli ultimi evitino di schierarsi, come finora han fatto, tra regione di centro-destra e regione di centro-sinistra.L’unica collocazione geografica possibile per i piacentini, oggi come oggi e con buona pace per i padani “doc”, è riuscire a superare il fatto di stare nell’Europa del sud, un luogo in via di impoverimento progressivo».

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