Mainardi: «Strada Valnure disastrata e ferma all’Ottocento»
Lettera aperta dei consigliere comunale di minoranza a Ferriere Alessandro Mainardi ai politici piacentini presenti nella varie istituzioni locali e nazionali sulla strada provinciale Valnure e il destino dell’Appennino piacentino
«La provincia di Piacenza – scrive il consigliere comunale di minoranza a Ferriere Alessandro Mainardi - morfologicamente è composta da 4 valli più o meno parallele. Ognuna di queste è percorsa da una strada che dalla pianura porta all’Appennino . Se dovessimo fare una classifica di quale di queste strade è la più rovinata certamente quella di val Nure non avrebbe difficoltà ad imporsi, specialmente nel tratto che da Bettola sale verso Ferriere.
Infatti per percorrere i 21 chilometri che separano i due capoluoghi occorrono nella bella stagione oltre 30 minuti ma se malauguratamente ci si trova davanti un camion i tempi si allungano a dismisura . Noi abitanti dell’alta Valle del Nure abbiamo ancora la strada costruita dai nostri bisnonni alla fine dell’ottocento che, quando è stata realizzata, era certamente una superstrada più che sufficiente a soddisfare le necessità degli oltre 7.000 abitanti del comune di Ferriere e degli oltre 5.000 residenti del comune di Farini , anche perché allora si viaggiava a cavallo e le esigenze erano ben altre rispetto alle attuali, ma ora è abbondantemente superata ed obsoleta .
Credo che la strada provinciale da Bettola a Ferriere sia una delle poche che in oltre 120 anni di vita non hanno conosciuto nessuna miglioria e nessuna minima variazione di percorso; Il tracciato è ancora quello iniziale, tutto è rimasto intatto, i vari manufatti (ponti, tombini, muri di sostegno) sono ancora quelli originari ed infatti sono sempre sottoposti a costosi interventi manutentivi e spesso chiusi al transito (Ricordiamo il ponte di Bettola chiuso per quasi quattro anni,il ponte di Farini,quello di Cantoniera, il ponte Nano ed infine quello di Ferriere tutti interrotti anche di recente per lunghi periodi.)
Abbiamo poi i tornanti della Camia che da almeno sessanta anni dovrebbero essere eliminati ma che invece sono sempre li , come se nel frattempo fossero diventati patrimonio dell’umanità tutelati dall’Unesco , insieme al ponte sul Rio Ribà. Questi tornanti sono il problema più antico di questa strada, problema mai affrontato e quindi mai risolto che nel frattempo è stato affiancato da altre difficoltà e infatti anche i trenta km che separano Bettola da Piacenza si percorrono , rispettando tutti i limiti di velocità esistenti e sorpassando solamente ove è consentito , in più 45 minuti. In poche parole per fare i 51 km che separano Ferriere da Piacenza occorrono oltre 75 minuti nella bella stagione ovviamente rispettando il codice della strada .
In inverno, in caso di neve o gelo i tempi non sono preventivabili, mentre la corriera di linea, che nel periodo scolastico trasporta anche gli studenti di Ferriere e di Farini che giornalmente frequentano le scuole a Piacenza , di ore ne impiega sempre più di due; La necessità di una strada scorrevole è evidente ed esiste da decenni ma nessuno lo ha mai preso seriamente in esame.
I vari politici di turno, tra i quali anche ministri e parlamentari nostrani, ne hanno parlato tante volte qualche giorno prima delle varie elezioni , chi proponendo una fondovalle tutta nuova, chi suggerendo la sistemazione della strada attuale, qualcuno più audace si è persino spinto a proporre una super strada che proseguisse sino al mare attraverso una mega galleria. Ma poi passate le elezioni, sul problema è sempre calato inesorabilmente il silenzio, tanto le difficoltà sono dei pochi coraggiosi e valorosi montanari che ancora si intestardiscono e si ostinano a vivere sull’Appennino.
Montanari che per la verità si stanno riducendo sempre di più, trasformandosi in una piccola compagine che fatica a garantire la normale vivibilità per tutti i mesi all’anno e la conseguenza è un territorio che si degrada sempre più, dove la vegetazione in poco tempo ricoprirà e cancellerà il lavoro e l’opera di decine e decine di generazioni ,dove le testimonianze degli avi si perderanno inesorabilmente e per sempre. Già scompaiono i terrazzamenti, si sgretolano i muri a secco tra le proprietà,non si sfalciano più i prati,non si alleva più bestiame, i seminativi non più coltivati si trasformano prima in roveti, poi in boscaglia e poi in selva impenetrabile, si chiudono i canali e spariscono le strade poderali, scompaiono gli scoli e ogni pioggia si trasforma in alluvione mentre le frane la fanno da padrone .
Ogni tanto, di fronte ai tanti che se ne vanno,qualcuno tenta di insidiarsi sui nostri monti forse attratto dalla bellezza di luoghi incontaminati , dalla salubrità dell’aria e dalla purezza delle acque , contribuendo in questa maniera a ritardare l’inesorabile destino dei questi luoghi affascinanti e magici, ma con risultati veramente scarsi perché oramai il problema è troppo grosso e non più risolvibile dai singoli. Infatti di questi valorosi nuovi pionieri i più se ne vanno dopo i primi anni , quando cominciano ad arrivare tasse ed imposte da tutte le parti, bollette e conti da onorare e i bilanci familiari e aziendali non quadrano più neppure lavorando dieci e più ore al giorno .
Le istituzioni spendono milioni e milioni di euro in pronti interventi dovuti alle varie emergenze quali alluvioni,smottamenti o frane conseguenti anche allo spopolamento della montagna ma a nessuno viene in mente che forse, se vogliamo salvarla, è arrivato il momento di far si che si ripopoli e questa volta non solo di lupi e che per farlo, la prima cosa necessaria è la realizzazione di una strada decente che consenta di spostarsi in tempi ragionevoli, sia per le urgenze e sia per le normali necessità giornaliere, la seconda è l’istituzione di una specie di zona franca dal punto di vista fiscale che invogli e stimoli le persone a ritornare a produrre in luoghi disagiati e scomodi .
Personalmente credo che altre ricette siano solo dei pagliativi, buone a riempirsi la bocca e a organizzare costosi quanto inutili convegni efficaci solo a far proporre, da chi i problemi dei montanari manco li conosce , soluzioni tanto fantasiose quanto inutili e sterili quali la produzione e la vendita del formaggio casereccio o la commercializzazione dei prodotti del sottobosco. A volte si ha quasi l’impressione che ci sia una regia occulta che lavori per attuare un disegno nascosto tendente a trasformare l’Appennino piacentino in un’area disabitata nella quale, chi la fa da padrone incontrastato siano veramente e solamente il cinghiale, il lupo e l’aquila e dove il vero animale da proteggere sia l’uomo. Ma se le cose stanno così si abbia il coraggio di dirlo apertamente e sinceramente. Cercheremo di organizzarci di conseguenza .
In caso contrario la nostra classe politica, non importa di quale schieramento, faccia finalmente qualche cosa di serio e di concreto e lo faccia in fretta, perché il tempo utile per salvare la montagna piacentina sta per scadere e a mio sommesso parere una montagna disabitata non farà la fortuna di noi pochi montanari rimasti ma neppure del più accanito naturalista perché un territorio non presidiato, non curato e quindi non amato e coccolato è un territorio inesorabilmente perduto per tutta la comunità».