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Giovedì, 28 Marzo 2024
Politica

«Prima un progetto strategico di servizio al malato, poi il piano logistico-costruttivo»

Nuovo ospedale, il parere di Giampietro Comolli: «L’occasione è propizia per pensare prima a una innovativa “sanità piacentina”»

Il mio peregrinare l’Italia e l’Europa, la mia mania di grande curioso che cammina in qualunque strada guardando in alto e avanti, qualche fruizione familiare di accessi ospedalieri in piccole e grandi città del nord Europa e America, mi fanno leggere “il nuovo ospedale a Piacenza” in una ottica diversa dai dibattiti pro-contro l’area.

Innanzitutto il sistema sanitario nazionale è in forte evoluzione e fra 20 anni sarà diverso (oggi in Italia ci sono 14.000 ultracentenari e siamo primi in Europa per longevità ma anche per assiduità dei controlli sanitari primari (abbiamo paura di dover mollare)) da oggi, indipendentemente dalla location. Sono convinto che in un bilancio Stato e Regione e Comune le voci “sanità e istruzione” possono essere le uniche passive in un paese dove il servizio sanitario è principalmente pubblico-convenzionato, obbligatorio, unico, locale regionalizzato (aspetto su cui ci sarebbe molto da dire). Recentemente ne ho dovuto usufruire, ma l’ospedale vecchio di Piacenza è tenuto benissimo, grandi direzioni mediche, efficienza e gentilezza di infermieri e addetti ai servizi, pulito e ampio.

La struttura “Guglielmo e Polichirurgico” è il meglio di molti altri in megalopoli europee. Per Piacenza una disponibilità economica di 150/170 milioni che con indotto e aggiornamenti possono arrivare a 250 milioni in 8 anni… Vuol dire poter cambiare totalmente il volto di una città di 100mila abitanti. Avere una sanità ancor più efficace grazie all’alta tecnologia, attrezzature e strumenti avveniristici, più sale operatorie e quindi più vicinanza al malato e più al centro la persona che le cose, sicuramente prima dei muri, scale, corridoi, saloni…; potrebbe anche “far arrivare a Piacenza” nuovi cittadini, nuove imprese, nuove opportunità e quindi ingrandire la città o per lo meno “sistemare” il superfluo abitativo e commerciale esistente. Il tutto, ed altro, grazie all’ospedale nuovo. Ho notato che nelle città più avanzate, più tecnologiche, più prospettive non hanno costruito e non stanno costruendo un unico nosocomio megagalattico fuori dal contesto-utility di servizio al territorio, anche ampio.  

Ottimo avere meno spese fisse iniziali e progettuali e incentivare quelle in altissima tecnologia sanitaria e medica diagnostica, preventiva e operativa; ha ragione chi sostiene di cogliere l’occasione per una nuova viabilità magari anche con una piccola metro di superficie, parcheggi sotto terra, corsie stradali per i mezzi ospedalieri… tutto bene… ma anche “i malati” in un sistema sanitario nuovo dovrebbero avere più voce in capitolo, essere in prima fila, almeno quanto i dirigenti amministrativi, i dirigenti sanitari, i coordinatori dei vari distretti. Tutto questo per dire che “in altre città tipo Piacenza e un po’ più grandi” oggi non si costruiscono più nosocomi a casermoni, ma degli efficienti piccoli ospedali tematici, altamente competitivi, fortemente efficaci sia come assistenza al malato (e famigliari), come operatività degli addetti ai lavori, come servizi diretti alla persona, come tempistica di giacenza, tipo di cura, obiettivo sanitario individuale e non più solo per reparto, per divisione, per medicina. All’estero si punta ad avere ogni circa 40/50mila abitanti un Pronto Soccorso autonomo, Comolli-2dinamico, day hospital con circa 70/100 posti letto, un piccolo polichirurgico, un reparto specialistico con un dirigente, i diversi medici e primari che raggiungono il malato. Da qui la mia proposta di vedere se a Piacenza è possibile unire l’esistente (cercando di buttare il meno possibile e sfruttare certe eredità a costo zero) con un sistema sanitario che ponga in primis il servizio del malato, dopo la amministrazione contabile, la voglia di costruire, i contratti edilizi, l’occupazione di nuovo terreno. 250 milioni di euro in 8-10 anni Piacenza non li ha mai visti. Ecco una soluzione.  Perché il Guglielmo da Saliceto e il Polichirurgico con un restyling interno (non esterno, ad esclusione di un parcheggio anche sotterraneo e un collegamento viario pubblico e privato diretto), un Pronto Soccorso Laboratorio urbano grande con una destinazione per le “lungo degenze”, malattie irreversibili, per anziani, per coloro che hanno bisogno di assistenza anche privata…. una mega casa di cura o casa salute ma efficacia anche per certe necessità immediate.

Poi un altro polo con altro Pronto Soccorso Laboratorio polivalente e una destinazione riservata a neonatalità, neuropsichiatria, ortopedia e medicina esogena (con un enorme parco fruibile senza aumenti strani dei volumi), migliorando l’accessibilità viaria per chi arriva dalle valli da/per Castelsangiovanni che rimarrebbe una eccellenza specifica.

Dalla parte opposta della città verso est, ricavabile anch’esso in qualche mega-struttura esistente (sempre con un bel parco-oasi) o costruibile ex novo, ma di dimensione ridotta, con nuova viabilità, connessione con linea di superficie che collega tutte le strutture a uso promiscuo, parking sotto terra anche per usi diversi, dotato di eliporto ed altro, dedicato a tutti i malanni di medicina interna, interventi chirurgici, visite super-specialistiche e direttamente connesso con Bobbio, Fiorenzuola, Villanova ognuno con sue specificità già definite.

L’occasione è propizia per pensare prima a una innovativa “sanità piacentina”. Credo fondamentale – così ho imparato curiosando in altre città piccole e grandi – che sia opportuno prima definire un progetto strategico di servizio al malato o al bisogno di salute, non logistico-costruttivo perché in questo modo si eludono, si dimenticano, si scambiano i veri problemi della gente. Non si va incontro al malato, ma si va incontro a pochi, alla burocrazia amministrativa, al conto economico.

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