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«Unendosi a Lodi, Piacenza resterebbe capoluogo di provincia»

Nel grande Risiko che si sta giocando per evitare il taglio delle province - inserito nella spending review del Governo Monti - spunta l'analisi di Tommaso Foti, deputato del Pdl: «Altrimenti finiremmo sudditi di Parma»

Piacenza con Lodi, un’eventualità che lascerebbe la nostra città come capoluogo di provincia. Nel grande Risiko che si sta giocando per evitare il taglio delle province - inserito nella spending review del Governo Monti - spunta l’analisi di Tommaso Foti, deputato del Pdl. I passaggi, nell’eventualità che non cambiasse nulla e che il decreto legge venisse convertito così com’è - e come tutto lascia supporre che così sarà - sono questi: se il Governo ci accorpasse a Parma (oppure a Reggio Emilia) perché non abbiamo né abbastanza abitanti né abbastanza territorio, i piacentini potrebbero scegliere attraverso un referendum, che lo stesso presidente della Provincia Massimo Trespidi ha ipotizzato nella lettera inviata ai parlamentari.

Per mantenere unita la provincia, l’Ente di via Garibaldi, dopo una delibera - «ci vogliono cinque minuti» ha detto Foti - e dopo il via libera della Cassazione, dovrebbe chiedere ai piacentini se preferiscono essere accorpati alla Lombardia. Questo nel caso si decidesse per l’intero territorio (un singolo Comune può solo chiedere di essere accorpato a una Provincia). E qui ci sarebbe il vantaggio per Piacenza. Ammesso che vincano le preferenze per la Lombardia, sarebbe il Consiglio per le autonomie locali della Lombardia a decidere se accoglierci. La risposta positiva sembrerebbe già scontata. Piacenza potrebbe unirsi con Lodi e in virtù del nostro maggiore numero di abitanti restare capoluogo. Questo avrebbe il grande vantaggio, per Piacenza, di inserirsi in “un’autostrada” Piacenza-Lodi-Milano (area metrolpolitana)-Brianza.

Se, invece, non si facesse nulla, si resterebbe accorpati a Parma, che ci spoglierebbe di numerosi centri direzionali e ci imporebbe le scelte politiche più favorevoli alla città del Ducato. Senza contare, che Piacenza resterebbe la cenerentola dell’Emila Romagna, o di ciò che ne rimane. Foti, nella conferenza stampa di questa mattina, 23 luglio, ha anche detto che lui come parlamentare - e così gli altri quattro colleghi piacentini - farà tutto il possibile per salvare la Provincia, ma se questo non dovenisse avvenire la colpa non sarebbe certo la loro. E comunque, nell’ipotesi di un referendum, Foti non sarebbe certo entusiasta di finire accorpato alla “provincia del gusto o delle salamelle”.

«Sono parlamentare da 16 anni – ha affermato Foti – e non sono avvezzo a prendere in giro gli elettori. Io non voglio togliere la speranza, ma non posso pensare che la gente dica che i parlamentari non hanno mantenuto ciò che era stato loro chiesto». Il riferimento è alla lettera inviata dal presidente della Provincia, Massimo Trespidi, ai deputati piacentini chiedendo di presentare alcuni emendamenti: mantenimento delle Province nate nel 1871, considerazione dei parametri positivi di quelle virtuose, scadenza naturale del mandato. Secondo Foti, il decreto legge sui tagli sarà convertito in legge prima dell’8 agosto. Se non passasse, i guai per l’Italia aumenterebbero: spread alle stelle e interessi da pagare altissimi, problemi per Monti ben più importanti delle Province. 

«Al Senato – ha spiegato Foti per far capire le difficoltà – non ci sono piacentini. Il Pdl ha chiesto aiuto a Berselli e Bettamio. Ora, entrambi hanno interessi elettorali a Rimini, provincia che sarà soppressa. E’ chiaro che c’è un conflitto di interessi. Una possibile soluzione sarà data dallo stralcio dell’articolo 17, cosa a cui credo poco perché il Governo porrà la fiducia». Insomma, una situazione che è stata “blindata” dal Governo. «Io – ha continuato il parlamentare Pdl – non ci sto a immaginare che i deputati piacentini non contino nulla solo perché non hanno ottenuto niente. Da non dimenticare, infine, che nel caso le Province restassero andrebbero trovati altri 750 milioni di euro».

Il Governo ha chiesto al Parlamento di proporre nuovi criteri: «I due parametri messi sul campo (abitanti ed estensione territoriale) potrebbero avere un carattere alternativo. O uno o l’altro». Certo, Foti presenterà gli emendamenti come i suoi colleghi, ma gli emendamenti non avranno esito e saranno respinti. «Cosa dovremmo fare? Votare non e far vedere che noi non ci stiamo? E’ come fare “ammuina”, non servirebbe a niente. Io sono un conservatore di valori e tradizioni, non di poltrone» ha chiosato Foti. Un termine utile per proporre il referendum, secondo il deputato, potrebbe essere il 30 settembre, in modo da andare alle urne entro fine anno. E Lodi potrebbe essere un accorpamento con un territorio che ha una continuità storica, sociale ed economica (molti imprenditori piacentini hanno aziende nella Bassa Lodigiana).

Piacenza e Lodi insieme avrebbero un territorio di oltre 3.300 chilometri quadrati e più di 500mila abitanti e non un milione come se si andasse con Parma (che equivarrebbe quasi a una regione). Contrario, infine, Foti a un referendum proposto dai partiti. «Si deve partire da un livello istituzionale, perché se l’idea fosse dai partiti si comincerebbe già con una preclusione iniziale». Insomma, dovrebbero essere i cittadini a dire dove preferiscono andare, attraverso un libero voto referendario.

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