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Se la salute è anche ciò che si mangia

Il 25 e 26 ottobre a Piacenza il convegno "Alimentazione e attività fisica per promuovere salute: il benessere è nelle nostre mani". In anteprima l'intervento del dottor Tiso

Che l’uomo sia quel che mangia lo diceva già espressamente Feuerbach. Al netto della filosofia, però, e dei suoi rovelli di pensiero, ormai è scientificamente assodato che il legame tra salute e alimentazione sia assai stretto. Proprio questo è il tema a cui è dedicato il convegno che si terrà a Piacenza, in via Santa Eufemia 12/13, presso l’auditorium Fondazione di Piacenza e Vigevano, i prossimi 25 e 26 ottobre, con il titolo “Alimentazione e attività fisica per promuovere salute: il benessere è nelle nostre mani”.

Proponiamo qui l’abstract di quanto racconterà al convegno il dottor Domenico Tiso, Medico Responsabile dell'Ambulatorio di Nutrizione e Benessere della Clinica Villa Maria di Rimini e Presidente ASAS (Associazione per la Salute correlata all’Alimentazione e agli Stili di vita).

“Forse non tutti sanno che i nostri geni sono predisposti per farci vivere fino a 120 anni. C’è chi azzarda addirittura 140! È un bonus che ci viene offerto alla nascita, una sorta di “libretto di garanzia” che ci viene rilasciato quando veniamo al mondo. Nella realtà, la durata media della vita nei paesi occidentali –quelli con la maggiore aspettativa- si aggira intorno agli ottanta anni: un po’ di meno per gli uomini e un po’ di più per le donne. Perché questa discrepanza tra potenzialità genetica e realtà dei fatti? Perché la promessa genetica dei 120 anni è disattesa dai più? Uno dei motivi che non ci consente di usufruire appieno di questo “bonus” è legato allo stile di vita irresponsabile e alle scelte alimentari inconsapevoli.
Abbiamo 5 (o più) occasioni al giorno -1.825 e più occasioni ogni anno- per decidere se realizzare le potenzialità dei nostri geni oppure no. Se investire o disinvestire in salute. Ma cos’è esattamente la salute? Già nel 1948, l’OMS aveva definito la salute come “Uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non la semplice assenza dello stato di malattia o di infermità”. Ma procediamo oltre. Ad esempio, esistono differenze tra preservare la salute, prevenire le malattie e curare le malattie? Riflettiamoci! La semantica può venirci in aiuto. Se parliamo di prevenzione e cura, siamo portati automaticamente a pensare alle malattie. Parliamo, dunque, di prevenzione delle malattie e cura delle malattie. Diversamente se parliamo di preservazione e tutela. In tal caso, ci riferiamo automaticamente alla salute.

Non è curioso? Avevamo mai riflettuto su questa sfumatura? Ebbene, si tratta di una sfumatura non di poco conto. Se impareremo a tutelare la nostra salute, riusciremo a percorrere più a lungo la strada della vita. Sarà più probabile riuscire a tramutare in realtà il potenziale genetico offertoci alla nascita. E ciò dipende, in gran parte, da noi. L’alimentazione, ad esempio, gioca un ruolo importantissimo in questo percorso. Le scelte alimentari hanno un peso significativo sulla nostra aspettativa di vita. Ma come scegliamo i cibi e le bevande che consumiamo quotidianamente? Le informazioni in nostro possesso bastano a indirizzare correttamente i nostri acquisti, la preparazione dei nostri piatti, il modo di mangiare, il tempo dedicato a queste attività? Non sempre! Perché le apprendiamo distrattamente, parzialmente, scegliamo quelle più convenienti al nostro modo di essere, spesso da fonti di parte. La fretta che ci attanaglia, ci lascia poco tempo per pensare, ragionare, essere critici e coscienti. La spesa, fatta per lo più una volta a settimana -nel fine settimana libero dagli impegni di lavoro- è un atto deleterio per la nostra salute. Perché ci porta a comprare, soprattutto, prodotti a lunga conservazione, raffinati e iper-saporiti. Prodotti ricchi di calorie e vuoti di nutrienti utili alla salute delle nostre cellule. In sostanza, le informazioni propongono promesse allettanti e noi compriamo emozioni eccitanti. Il prodotto, inteso come cibo o bevande, si svuota del significato primario e diventa un “conforto” per affrontare la quotidianità sempre più stressante. Ecco dunque che la qualità diventa secondaria, come la freschezza dei cibi, e diamo maggiore peso alla quantità aiutati dalla certificazione della “lunga conservazione”. In ciò siamo agevolati dai contenitori.

Pensiamo solo un attimo ai carrelli della spesa che usavamo negli anni ’70 e ’80: che dimensioni avevano? Erano come quelli di oggi, più piccoli, più grandi? Più piccoli, senza dubbio. Anzi, molto più piccoli! Nel frattempo, alla crescita dei carrelli abbiamo associato una maggiore raffinazione e trasformazione dei cibi in sintonia con una maggiore sedentarietà fisica. In altre parole, più cibo a disposizione e meno movimento per smaltirlo una volta consumato. E ne consumiamo più di quanto ce ne occorre, aiutati dalla raffinazione e dagli esaltatori dei sapori. Un bell’esempio di squilibrio! Non solo i carrelli, anche i piatti sono aumentati di dimensioni. Quelli delle nostre nonne avevano un diametro di 20-25 centimetri; i nostri, quelli che usiamo quotidianamente a casa o a ristorante, misurano 30-35 centimetri di diametro. E allora? Beh, pensiamo all’effetto che faranno 100 grammi di spaghetti in un piatto di 25 centimetri oppure in un piatto di 35 centimetri. Nel primo sembreranno molti, troppi alla vista; nel secondo appariranno come una porzione inadatta a sfamarci. L’inganno dei sensi –la vista in questo caso- ci fornirà percezioni differenti secondo le dimensioni del contenitore: 

0.    piatto piccolo - porzione apparentemente grande - percezione visiva di sazietà - basta mangiare;
0.    piatto grande - porzione apparentemente piccola - percezione visiva di fame inappagata - mangiamo ancora.
Quindi, piatti grandi ci fanno mangiare di più? Sembra di sì. E noi, per natura, tendiamo a riempire i nostri recipienti senza tener conto della misura del contenitore. E poiché siamo stati abituati a “finire” ciò che abbiamo nel piatto, è probabile che lo mangeremo tutto. “Mai lasciare cibo nel piatto. Non è buona educazione”, così tuonavano, nella nostra infanzia, la nonna o la mamma. E questa litania ci perseguita anche nella vita adulta. In definitiva, la vergogna della maleducazione può procurarci danni alla salute. Ecco perché sarebbe buona abitudine porre attenzione al diametro dei piatti. Meglio quelli della nonna, se decidiamo di ritornare al nostro peso-forma senza sacrifici e con gusto. 

Ma i sensi son ingannati anche da altro. La fretta, la percezione cronica della “mancanza di tempo” può peggiorare l’irresponsabilità delle nostre scelte alimentari. Non abbiamo tempo! Se qualcuno ci ferma per strada, la prima reazione è ... “Mi scusi ma non ho tempo”. Eppure il tempo lo abbiamo e lo dissipiamo. Ogni giorno, secondo l’ISTAT, dedichiamo più di 4-5 ore al tempo libero. E buona parte la spendiamo davanti alla TV. In Italia, noi maschi ci facciamo sedurre dalla TV per quasi due ore al giorno e il gentil sesso 1 ora e mezza. La pubblicità gioca un ruolo di primo piano nel riempimento del nostro tempo libero. E i nostri bambini rappresentano un “target” molto interessante per il marketing. Una delle priorità del marketing, è quella di allenare i bambini a diventare degli ottimi consumatori. Lungo un percorso che prevede, in ordine cronologico, diversi step:
1. Apprendisti consumatori
2. Consumatori
3. Consumatori specializzati
4. Acquirenti diretti
5. Clienti fidelizzati

Già nel lontano 1957 la rivista Advertising Age sottolineava che i bambini sono alleati ideali per convincere gli adulti all’acquisto di prodotti. E suggeriva: “se volete delle vendite veramente cospicue, servitevi dei bambini come aiuto-commessi”. Eravamo nel 1957. Di strada ne abbiamo percorsa, ma in quale direzione? Nella direzione dell’inconsapevolezza e dello spreco, non ci sono dubbi. Inconsapevolezza che diventa insidia per la salute. Dunque, abbiamo bisogno di riappropriarci della coscienza critica, del buon senso, del tempo. Sì, perché chi ha tempo mangia meglio di chi percepisce di non averne. La consapevolezza è il motore per cambiare comportamento, mettere in discussioni le abitudini errate ed inveterate. Non è subito facile perché il cambio di abitudini ci sposterà da una zona di confort ad una di disconfort. E ciò è faticoso, almeno all’inizio. Ma possiamo rendere più agevole questo passaggio lavorando sui momenti quotidiani già “in agenda”. Non abbiamo bisogno di inserire altri impegni, soprattutto se ci “manca” il tempo. Usiamo meglio gli appuntamenti già “programmati”: la colazione, lo spuntino mattutino, il pranzo, la merenda, la cena. E cominciamo a “non saltarli”: è già un decisivo e grande passo verso la salute. Sono 5 momenti al giorno, 1.825 in un anno, circa 20.000 in 10 anni. Quante occasioni, già programmate, per investire in salute!”.

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