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Attualità Monticelli d'Ongina

«La paura del Covid c’è, ma aiutare fa stare bene ed è un dovere verso chi ha bisogno»

È la voce dei militi della Pubblica Assistenza di Caorso-Castelvetro-Monticelli, da quasi quarant'anni anni al servizio della comunità locale.«Ne abbiamo viste tante ma non ci saremmo mai immaginati di vivere una situazione simile»

«Ne abbiamo viste e vissute tante, sia positive che negative, ma non ci saremmo mai immaginati di vivere una situazione simile». È la voce dei militi, presenti quotidianamente per la gestione e lo svolgimento dei servizi ordinari e di emergenza territoriale nella sede della Pubblica Assistenza di Caorso-Castelvetro-Monticelli d'Ongina, oramai da quasi quarant'anni anni al servizio della comunità locale. È unanime tra loro il pensiero che, in tutto questo tempo, tanto sia cambiato nella vita associativa, sia nella gestione quanto nel modo di affrontare gli interventi, vuoi perché pian piano è andato sempre calando il numero di volontari, vuoi perché sono subentrati sempre più corsi di formazione che ogni socio attivo deve effettuare per svolgere al meglio i ruoli di soccorritore. Ma una pandemia, come quella in corso, ha stravolto la realtà a livello sanitario, a livello gestionale e a livello sociale. Per garantire la protezione dei volontari, giovani e meno giovani, infatti, il consiglio direttivo ha imposto la frequentazione della sede ai soli volontari impegnati nei vari servizi giornalieri di trasporti ordinari e di emergenza, vietandone l’accesso se non strettamente necessario. «È una situazione surreale, quasi al limite della follia» ci dice Luigi, uno dei militi più anziani, appena arrivato, pronto per svolgere un trasporto ordinario programmato in mattinata. «Ora si devono indossare questi camici, le mascherine, doppi guanti. Siamo consapevoli che è una condizione di necessità, per la tutela della nostra salute, tuttavia si può dire che è non è affatto agevole svolgere servizio in queste condizioni. Anche la sede, sempre frequentata da ragazzi e da noi meno giovani, ora è sempre vuota in quanto non è possibile accedervi per ragioni di sicurezza e di salvaguardia».

Il silenzio che contraddistingue il centralino, viene bruscamente interrotto solo dallo squillare incessante e caratteristico del telefono del 118: «… difficoltà respiratoria in persona anziana, sospetto Covid…» recita l’operatore di centrale. Prontamente, il capo equipaggio, Simone, dipendente da tre anni ma prima volontario da sette, dopo aver raccolto le informazioni dal telefonista, avvisa l’intero equipaggio sulla tipologia del servizio assegnato (di tipo infettivo) e che quindi è necessario vestirsi con i Dpi corretti forniti dall’associazione per i casi di malattie infettive. La “vestizione” rappresenta, per ogni volontario, l’ultimo momento di relax prima che l’adrenalina per un nuovo intervento, Covid o di altra tipologia, prenda il sopravvento all’interno dell’equipaggio.  «Aiutare le persone in difficoltà dovrebbe essere un dovere di ognuno, perché può capitare a tutti di aver bisogno, non è prerogativa delle persone malate » spiega Raffaella, milite da circa tre anni, mentre si appresta ad indossare tutte le precauzioni e salire in ambulanza per raggiungere il luogo dell’evento assegnato. «Una domanda che tutti i volontari si sentono spesso rivolgere da persone esterne all’associazione, vedendoli in servizio vestiti con le “famose” tute bianche di questo periodo - continua Luigi - è se non hanno paura di questo virus, che ha causato molte perdite in termini di vite umane». La risposta è però sempre la stessa da quasi 40 anni: «Sicuramente la paura c’è, ma aiutare gli altri fa stare bene ed è un dovere verso chi ha bisogno; senza questo tipo di servizio, sicuramente, tutti noi saremmo persone meno ricche dal punto di vista umano, per cui è un piacere quotidiano che svolgiamo volentieri».

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