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La curiosità

A Piacenza parliamo ancora longobardo

Dalla “skrana” al “tok”, le parole longobarde sopravvissute nel tempo e confluite nel dialetto piacentino

A quale uomo e donna piacentina, durante la giornata, non sfugge una qualche parola in dialetto. Succede eccome, ed il momento nel quale a Piacenza il dialetto domina, rimane senza dubbio rintracciabile nei giorni di mercato, dove “l’idioma” locale è usatissimo. Basta fare una passeggiata tra i banchi, con calma e orecchie attente.

Di certo sentiamo delle varianti, che scostano nella pronuncia, ma non nel significato, dalla parlata di città, ma tant’è, e risaputo o meno, “parliamo” longobardo. Ci esprimiamo usando parole che hanno 1300 anni, e non li dimostrano, ormai fanno parte del nostro parlare quotidiano.

Intendiamoci. In tanti luoghi d’Italia, quelli che soprattutto hanno subito la dominazione di questo popolo, che a Pavia aveva la capitale, hanno nel “parlare” queste medesime parole, cambia solo leggermente la pronuncia. Ecco allora un breve campionario di termini longobardici usatissimi nel Piacentino, d’uso comune, e proprio “inventati” di sana pianta da loro e da noi assimilati nei secoli.

I Longobardi chiamano l’uomo ricco “rik” e in casa si siedono sulla “skrana”(sedia), ed una casa “mal messa” la chiamano “stamberga”, mentre il “balk” è il balcone.

Un pezzo di qualsiasi cosa, ma anche di stoffa è “il tok” e l’imbastire e impuntare stoffa è “bastja”, mentre un piatto, una brocca “scalfita, sbreccata” diventa “brekà”, ed il fazzoletto si diceva “fattiò” di forma quadrangolare come è ancora oggi.

D’autunno noi piacentini ci scaldiamo con anolini in “brod”, e lo stomaco è “magone” “magò”; la schiena, come ancora pronunciamo in dialetto “skena”, uguale parlare della “spanna” (misura a mano aperta longobarda).

Ad una notizia curiosa inaspettata rimaniamo di “stuk” (stucco), e il nudo o il misero era detta “biott”, invece chi mangia “rumorosamente” per il longobardo e il piacentino è colui che “slappa” e se beve abbastanza è uno che “trinka”.

L’ardente brace è la piacentinissima “brass”, ed un odore insopportabile è un “tampf” (tanfo), tra gli oggetti “tecnici” il manico dell’aratro, è lo “sterz”, ed ancora in uso dialettale pure “skida” (scheggia), l’uomo stanco è “strak”, ed il capellone ha la “zazzera”, ma chi mangiucchia senza abbuffarsi si dice che “plukka”.

Una sfilza, solo d’esempio ovviamente, di tantissime di parole che ancora pronunciamo in dialetto tali e quali ci hanno “insegnato” i ruvidi longobardi, poi passati sotto al dominio dei Franchi con Carlo Magno.

Esistono decine di termini rimasti nell’uso comune della nostra lingua italiana, e molti ancora nella parlata dialettale piacentina, che senza saperlo arrivano da quei secoli, parole longobarde in uso quotidiano anche qui a Piacenza.

Umberto Battini

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