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La galleria "Malair", tempio dei tappeti antichi: «Abbiamo raccolto tremila esemplari»

La storia di Achille Armani, che con Alberto Binecchio dopo cinquant’anni prosegue l’attività della galleria di tappeti antichi “Malair” di piazza Duomo: «In futuro li doneremo per una mostra perenne»

Da quasi cinquant’anni la galleria “Malair” di piazza Duomo è il tempio dei tappeti antichi. A spalancarci le porte di questo luogo magico nel cuore della città è uno dei suoi due padri: Achille Armani. Nato a Bocito di Bettola nel 1941, perito agrario, si è quasi laureato in Agraria all’Università Cattolica. «Ho lasciato a pochi esami dalla laurea – racconta lui stesso - perché nel frattempogalleria Malair-2 avevo iniziato a lavorare nel mondo dei tappeti». A quei tempi aveva conosciuto il socio Alberto Binecchio, che si era trasferito nella nostra città. «Lo zio di un suo amico era originario della Persia e commerciava tappeti antichi a Milano, disponeva di un grande magazzino. All’epoca – era la fine degli anni ’60 - non andavano di moda, tutti avevano solo quelli moderni».

I due, per avere qualche soldo in tasca per “vivere la gioventù” e divertirsi, si lanciano in questo settore. «Ho iniziato portando a Piacenza i primi tappeti antichi – rammenta Armani - per mostrarli alle amiche. Anzi, alle loro madri. Iniziarono ad essere apprezzati». Armani e Binecchio allacciano contatti soprattutto con la Croce Rossa. «C’era questa usanza a quei tempi nelle città: la presidente della Cri era la moglie del prefetto. Così avvicinammo a Piacenza, Parma, Cremona, Brescia la moglie del prefetto mostrando i pezzi che avevamo. Regalavamo alla Croce Rossa diversi tappeti e in cambio ottenevamo la possibilità di organizzare eventi importanti nei luoghi migliori delle città».

Le prime iniziative non erano a scopo di lucro. «Non vendevamo, erano solo mostre culturali. Non facevamo business, venivano organizzate perfino in posti religiosi. L’importatore di origine persiana ce li dava in visione, li facevamo vedere. Ricevevamo camionate di tappeti e ci siamo costruiti una catena di contatti consistente». Piano piano diventa un lavoro a tempo pieno e la coppia si mette a partecipare alle mostre d’antiquariato per vendere. Partecipano anche a una mostra a Palazzo Strozzi a Firenze nel 1973 che spalanca a loro nuove porte.

Quando avete cominciato ad avere una sede fissa? «Siamo partiti a vendere al sabato e alla domenica a Suzzano di Rivergaro nel ‘73, dove i miei genitori possedevano una cascina. Poi ci trasferimmo in una sede prestigiosa: il seicentesco Palazzo Caracciolo di via Borghetto, che aveva un salone favoloso». Qua sono rimasti fino all’inizio degli anni ’90. A quel tempo i due galleristi si dividevano tra gli impegni piacentini e le mostre in giro per il mondo. La galleria si è sempre chiamata “Malair”, dal nome di un tappeto persiano. «Siamo stati noi due a fare tutto, ancora oggi non siamo stanchi, proseguiamo, lo facciamo per passione. Andiamo avanti». Poi, il trasloco nell’attuale sede di piazza Duomo.

Alle mostre itineranti di “Malair” sono passati tanti politici, attori e personaggi dello spettacolo: i presidenti Giovanni Spadolini e Sandro Pertini, Loretta Goggi, Raffaella Carrà, Renato Zero. Con le sue mani Achille avrà toccato migliaia e migliaia di tappeti nella sua vita. «Viaggiavamo in Persia e in America per prenderli, sicuramente avremo raccolto 3mila pezzi nella nostra carriera».

Ora sta pensando di fare un inventario di tutti quelli che sono rimasti. «Non voglio che vadano dispersi, voglio donarli insieme alla sede della galleria. Questo luogo deve rimanere un museo permanente». Dopo una mostra permanente per 25 anni al Farnese, Armani e Binecchio stanno per fare così un passo molto importante. Si spera che, qualcuno, in città, sappia raccogliere questa generosità e valorizzarla al meglio. Il mondo dell’arte e del bello meritano. «Qualche contatto c’è – ammette Armani – speriamo che si concretizzi tutto per il meglio».Achille Armani-3

Un bilancio? «Sono stato molto fortunato nella vita. Sono figlio di agricoltori di un piccolissimo paese di montagna e sono finito a fare un lavoro bellissimo. Lungo il mio cammino ho avuto alcuni incontri decisivi. Il mio socio Alberto mi ha tirato dentro in questo mondo che non avrei potuto conoscere. Quando sento un attore o un personaggio famoso che sostiene di fare “il lavoro più bello del mondo”, mi viene da pensare che, il mio, non lo cambierei mai con nessuno. Ho frequentato e lavorato con i più grandi antiquari del mondo e visto cose meravigliose».

Armani lancia un messaggio ai più giovani, a coloro che stanno studiando o iniziando a muoversi nel mondo delle professioni. «Bisogna sapere cosa si vuole nella vita. Non basta essere “laureati”, bisogna sapere bene cosa si vuole fare, e mettercela tutta. I sacrifici iniziano quando s’inizia a lavorare». E cercare di non rimanere “provinciali”. «Siamo rimasti qui a lavorare, ma abbiamo anche girato e viaggiato nel mondo. Ricordo che agli inizi avevamo una mostra in Sant’Agostino e al tempo stesso ne preparavamo un’altra a Firenze. Qualcuno ci disse che pretendevamo troppo. Invece bisogna osare, provare, viaggiare, conoscere persone. Se un giovane non trova lavoro mi verrebbe da dirgli di pensare a cosa vuole fare davvero nella sua vita. Ci vuole anche una testa un po’ fuori dalla norma per partorire nuove idee».

L’antiquariato che momento vive? «Quando abbiamo iniziato noi, c’era un enorme interesse. Era un’epoca di benessere economico che si stava diffondendo, tante persone avevano la possibilità di comprare oggetti di una certa bellezza. La crisi economica ha penalizzato questo settore. Inoltre mi accorgo che i giovani, anche quelli cresciuti in abitazioni dove i genitori hanno questa passione, non coltivano questa bellezza e preferiscono puntare alla funzionalità, al “modello Ikea”».

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