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Al famedio del cimitero la commemorazione dei caduti per la patria

Nella mattinata del 2 novembre al Famedio del Cimitero urbano di Piacenza si è tenuta la cerimonia di commemorazione dei Caduti per la Patria, organizzata dall’Amministrazione comunale d’intesa con Prefettura e Comando militare

Nella mattinata del 2 novembre al Famedio del Cimitero urbano di Piacenza si è tenuta la cerimonia di commemorazione dei Caduti per la Patria, organizzata dall’Amministrazione comunale d’intesa con Prefettura e Comando militare. L’allocuzione ufficiale è stata affidata all’intervento del sindaco Patrizia Barbieri. Vista l’emergenza sanitaria in atto, come già è avvenuto lo scorso anno, le celebrazioni si sono svolte in forma raccolta e statica, senza prevedere il tradizionale passaggio di fronte a lapidi e monumenti nei cui pressi sostava il corteo dei presenti.

La cerimonia del 2 Novembre al cimitero - DelPapa/IlPiacenza

Commemorazione dei Caduti per la Patria, il discorso del sindaco Patrizia Barbieri

Per ciascuno di noi, nella ricorrenza odierna, il ricordo dei nostri cari defunti richiama emozioni che ci permettono – nel rispetto e nella riservatezza del dolore – di sentirci più autenticamente vicini gli uni agli altri. E a restituirci il significato più profondo dell'unità e della condivisione, in questa giornata dedicata alla memoria di tutti i Caduti per la Patria, è quella stessa identità in cui ci specchiamo, chiamati a rendere omaggio al sacrificio di intere generazioni sul cui valore si è radicato e costruito, nel tempo, il cammino fiero e consapevole del nostro Paese.

Nel raccoglimento partecipe e commosso di una cerimonia che anche quest'anno non ci consente, in virtù dell'emergenza sanitaria, di sostare presso le lapidi e i monumenti cui tradizionalmente abbiamo sempre reso omaggio in corteo, avvertiamo forte e sincera la solidarietà dell'intera comunità piacentina verso tutte le famiglie che, nella devastazione dei conflitti armati e delle più buie pagine della nostra storia, non hanno mai potuto riabbracciare i propri affetti.

I giovani soldati inviati al fronte nella Grande Guerra, le donne e gli uomini che hanno combattuto per difendere gli ideali della libertà e della democrazia. Fucilati da un impietoso plotone di esecuzione contro il muro del nostro Cimitero urbano, come i partigiani cui ogni anno tributiamo la corona d'alloro. Morti o dispersi in una trincea lontana, in un Paese straniero, tra montagne e valichi di confine, o alle porte della città, tra le nostre colline. Onorando, sino all'ultimo istante, una divisa militare che hanno indossato con orgoglio, o in abiti civili, accettando con coraggio di imbracciare le armi per difendere la propria terra, i diritti della propria gente e la speranza di un futuro migliore. E' per ciascuno di loro, oggi, il nostro pensiero. Per i padri che non hanno mai conosciuto i propri figli, per gli amori raccontati nelle ultime lettere dettate dal cuore, per tutti i genitori che hanno atteso invano sulla soglia di casa. Per chi ha creduto nei propri principi con coerenza e strenua volontà di resistere all'oppressione, così come per chi è stato mandato incontro a un destino iniquo e brutale nel nome di un bellicismo esasperato e violento. Per tutti coloro che non hanno avuto scelta.

“Di che reggimento siete, fratelli?”. Sembrano interrogare anche noi, i versi senza tempo di Giuseppe Ungaretti, chiedendoci di dare importanza all'unico aspetto che conti: non da quale parte del campo di battaglia possiamo trovarci, ma facendo appello alla capacità di riconoscerci, reciprocamente, nel nostro essere umani.

Fu lo stesso poeta, arruolatosi come volontario in Fanteria nel 1915 e destinato al fronte friulano, a dire che nelle sue opere “non c’è traccia d’odio per il nemico”, bensì “la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità e della comunanza degli uomini nella sofferenza”. Il Carso, per sempre luogo di memoria della Grande Guerra, come metafora della società, dove “l’incontro con gli altri – ci ricorda ancora Ungaretti – avviene nel momento dell’umiltà, della disperazione, dell’onore e della necessità di aiuto. Li ho sempre sentiti come fratelli, gli uomini, fin da bambino, per natura; ma sul Carso, questo tema diventa ossessione e verità”.

Perché è questo, l’insegnamento cui la ricorrenza del 2 novembre ci impone di prestare ascolto: saper tendere la mano agli altri, farsi carico con responsabilità del bene comune, dare valore al dialogo. “Nei sacrari e nei borghi – ha affermato il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – rimane il monito delle sofferenze patite da coloro che hanno lottato per l’unità e la libertà della nostra Patria: un messaggio che dice pace, rivolto in particolare alle nuove generazioni, affinché le aberrazioni perpetrate dalla guerra contro l’umanità non debbano più ripetersi”.

Essere qui oggi, in rappresentanza di tutti i cittadini che credono nella democrazia e nell’armonia tra i popoli, significa inchinarci all’esempio di chi, dando la vita perché ciò potesse accadere, ci ha consegnato un Paese libero e pluralista. Un Paese che non dimentica, ma sente nelle proprie radici, e nella sua stessa anima, l’eredità morale e civile che abbiamo ricevuto dalle donne e dagli uomini alla cui memoria rinnoviamo il nostro tributo. Grazie.

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