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Arci: «Penalizzato fortemente l'associazionismo di promozione sociale»

Fornasari, presidente Arci: «Continuiamo a chiedere alla politica di ripensare alla normativa che, oltre ad essere palesemente discriminatoria, impedisce di fatto alle nostre basi di poter svolgere un importante ruolo di presidio sociale sul territorio»

Arci Piacenza, tramite il suo presidente Alessandro Fornasari, contesta il Dpcm del 3 dicembre che penalizza ancora l’associazionismo di promozione sociale. «Prendiamo atto che nell'ultimo Dpcm – rileva Fornasari - continuano ad essere sospese le attività dei "centri culturali, sociali e ricreativi", categoria in cui sono ricompresi i circoli e le associazioni aderenti all'Arci. Lo facciamo con un senso di delusione e di smarrimento rispetto al fatto che le nostre richieste e proposte non siano state né ascoltate, né tantomeno prese in considerazione dal Governo che, ancora una volta, sembra prestare attenzione unicamente ai luoghi del commercio e del profitto penalizzando quelli in cui si offrono occasioni di socialità, ricreazione e cultura, tema - quest’ultimo - peraltro assente da tutte le conferenze stampa e dal dibattito pubblico degli ultimi mesi».

«Siamo consapevoli di essere nel pieno di un'emergenza sanitaria epocale, ma continuiamo a non comprendere la ratio di norme e provvedimenti che vietano qualsiasi attività svolta nelle nostre sedi, a prescindere della tipologia delle stesse, e senza prevedere regole, obblighi e prescrizioni che ne possano permettere lo svolgimento in sicurezza. Così si privano città, quartieri e paesi di attività ed iniziative assistenziali, educative, solidali, di vicinanza e di sostegno ai più deboli e fragili delle nostre comunità, proprio nel corso di una crisi che è anche sociale e in cui sono ancora più accentuate le disuguaglianze e le situazioni di difficoltà e di emarginazione».

«Perché prevedere una chiusura totale e generalizzata senza nessuna valutazione di merito? Perché, ad esempio, in un circolo Arci sarebbe più rischioso leggere un giornale, fare due chiacchiere su un film o parlare di un libro davanti ad un caffè rispetto ad altri luoghi dove oggi queste attività sono consentite? Perché non ipotizzare lo svolgimento di attività sociali e culturali con regole tali da limitare gli assembramenti e prevenire il rischio contagi?».

In primavera siamo stati i primi a chiudere, in molti casi con nostro grande senso di responsabilità, anche prima del Dpcm del 1 marzo, e siamo stati gli ultimi a poter riprendere le nostre attività a fine maggio. Ci siamo adeguati a tutte le misure di sicurezza e di prevenzione previste, abbiamo investito tempo e risorse senza peraltro avere, nella stragrande maggioranza dei casi, alcun aiuto pubblico. Abbiamo imparato, come tanti altri, a tutelare noi stessi ed i nostri soci. Per mesi ci è stato ripetuto che avremmo dovuto imparare a convivere con il virus. Lo abbiamo fatto. E lo abbiamo dimostrato nei mesi scorsi con le numerose attività culturali e ricreative organizzate, tutte nel pieno rispetto delle restrizioni previste e senza creare alcun allarme di carattere sanitario. Ora non ci stiamo! E continuiamo a chiedere alla politica di ripensare alla normativa che, oltre ad essere palesemente discriminatoria, impedisce di fatto alle nostre basi di poter svolgere un importante ruolo di presidio sociale sul territorio. Noi non ci stiamo perché il rischio concreto è che molti circoli ed associazioni non riaprano più. Siamo pronti a ripartire, ancora una volta, nel rigoroso rispetto dei protocolli e delle normative per limitare e prevenire la diffusione del virus. Quando la politica vorrà ascoltarci e permetterlo? A che serve incensare l'associazionismo di promozione sociale se poi lo si condanna a morte certa?».

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