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Centenaro e la Centena, quando un circolo tiene vivo un paese di montagna

L’obiettivo fotografico di Sergio Valtolla sull'alta Valnure conclude il raid nella “terra della centena” dalla quale Centenaro trae il nome

Dopo aver documentato a Cerri “la Madonna che venne dal nulla”, “il mulino bianco” e l’abitato di Rocca, il tour fotografico del blogger Sergio Valtolla (Sergio Efosi) noto e bravo fotografo non professionista che ha raggiunto un invidiabile bagaglio di tecnica, composizione e cultura, avrebbe voluto puntare l’obiettivo sul capoluogo, ma il tempo volgeva decisamente al brutto e quindi non rimaneva che pensare al pranzo. Sul dove la decisione diventava difficile perché i ristoranti e le trattorie locali, come pure quelli delle frazioni, sono gemme preziose del cibo e tutti fanno parte dell’aristocrazia gastronomica ferrierese. Decidiamo allora di andare a salutare l’amico Guido a Centenaro - Guerra, gestore del Circolo La Centena, che accanto agli stimolanti sapori della razdura Anita, offre anche l’occasione per un ripasso di storia locale, non sui libri ma a vista sui muri.

Le pareti delle sale sono, infatti, delle finestre narranti, in modo un po’ naif si susseguono serie storiche di fotografie, immagini recenti, i quadri degli ultimi sovrani d’Italia con tanto di bandiera sabauda, banconote false incautamente accettate volatili imbalsamati, ringraziamenti ed encomi di clienti soddisfatti, compreso la dedica “entri come socio, esci come amico”, dipinti, immagini sacre, caricature del titolare e suoi perentori messaggi, aforismi, bottiglie, foto ricordo dei sott’Ufficiali della precedente occupazione di Guido, articoli tratti dai quotidiani, da Montagna nostra e da altri periodici che pur se dislocati qua e là, permettono di allineare una sequenza virtuale di notizie che fornisce un utile spaccato di microstoria locale.

Cominciamo dalla sede del Circolo. Corre il mese di aprile 2002. Il Circolo culturale “La Centena” comunica al sindaco il timore che la chiusura della “storica” osteria D’ Tugnarel possa costituire un fattore di accelerazione del processo di spopolamento del territorio. Propone quindi “che i locali della vecchia scuola di Centenaro di proprietà del Comune siano dati in locazione alla loro associazione per adibirli, senza fini di lucro, a luogo di ritrovo per i residenti. Il 15 agosto 2002 il quotidiano “La Voce” dà notizia dell’accoglimento della richiesta di creare un punto di riferimento fisso per i centenaresi che non vogliono dimenticare le proprie origini e che intendono difendere un’identità culturale legata a quei luoghi. Il Circolo pur con discontinuità assolve i suoi compiti istituzionali che comprendono la possibilità di ristorazione, di giochi popolari, assemblee su temi sociali e intrattenimento. Nel 2011, quando si palesano difficoltà gestionali, spunta la disponibilità del centenarese Guido Preli che assieme alla moglie personalizza il locale, interpretando le attese di soci D.O.C. e di soci foresti uniti nel comune gradimento di pranzare, dove per molti mesi di ogni anno una stufa a legna che scalda che è un piacere e si accomuna a quello della tavola dove il mitico Guido, impone a tutti una compilation di affettati, salse e verdure lasciandovi poi la scelta delle successive portate e l’abbinamento dei vini; verso la fine ci vuole abilità per dribblare il vassoio dei dolci artigianali e i bicchierini di liquori entrambi “fatti in casa”.

Ma torniamo alle pillole di microstoria che tappezzano la “Guido-Centena”. Il nome di “Centenaro” deriva verosimilmente da un’antica istituzione detta “centena”: una circoscrizione territoriale, rurale, come oggi è il Comune: la centena però era più vasta. Al tempo dell’Impero romano la zona della odierna parrocchia era compresa “pressappoco da Pieve di Revigozzo al Crociglia, dai monti di Bedonia all’Aveto e al Trebbia e si chiamava Pagus Albense”. Quando poi nel 400-800 dopo Cristo a varie ondate scesero in Italia i popoli provenienti dalla Germania, Ungheria, Russia, i cosiddetti barbari, cambiarono nome alle circoscrizioni rurali che non si chiamarono più Pagus ma “Centena”, nome che presso i popoli germanici indicava una suddivisione della popolazione, pare in nuclei di cento famiglie. A capo della zona così delimitata era il “Centenarius”. Nei secoli successivi, le vicende storiche fecero di nuovo cambiare nome alle zone rurali e pian piano non si parlò più di centene; però il nome del capo distretto nella forma Centenaro, (unico caso nel piacentino e in pochissime altre località in Italia”, rimase a identificare la frazione ferrierese che nel 1805 contava 625 anime, 892 nel 1939 e oggi una cinquantina.

L’antica chiesa dedicata a San Pietro.

Il tempio risale al 1771 ed è stato costruito in sostituzione della precedente chiesa plebana che, tra le più importanti del territorio; giunse infatti ad avere ventisette chiese suffraganee. La facciata barocca dotata di un rosone centrale ha sostanzialmente mantenuto l’aspetto originale. Nei primi anni del Novecento è stata innalzata la navata centrale e rifatta la pavimentazione. Tra le opere artistiche un Crocifisso del XVIII secolo opera dell’artista fiammingo Geernart e un dipinto che raffigura sant’Antonio Maria Gianelli che fa seppellire le armi, opera del 1983 del pittore Stano Dusik.

La stretta e ardita torre ebbe a sostenere tre sopralzi in epoche diverse, ed è munita di un gradevole “Concerto di campane”, la cui una remota storia è raccontata in modo colorito da Aldo Ambrogio sul quotidiano “La Scure” del 26 agosto 1931.

Groppallo, la di contro, collocato sopra un cucuzzolo di monte, già possedeva un concerto campanario e un abile campanaro. Ogni sera, ogni mattino, e particolarmente nei giorni festivi, era uno scampanio festante che si diffondeva nella valle e ribatteva insistentemente nelle orecchie di quei di Centenaro. Quelli di Groppallo erano lieti e superbi che il loro abilissimo campanaro s'inebriasse di canto con le sue campane, come un usignolo. Ma non la poteva durare così.

Quelli di Centenaro, chiotti, chiotti, decisero di procurarsi un concertone di campane da battere tutte le altre torri della vallata. Il concerto è ordinato e finalmente giunge. E' un avvenimento in paese. Tutti giù, giovani e ragazze nel Nure a incontrare le campane che giungono lente e faticose per l'allora unica strada del torrente di Bettola. Quando il corteo fu all'altezza di Groppallo, quei di lassù giù con uno scampanio furibondo in vari toni e variazioni e bizzarrie armoniose e sospensive sincopate e riprese a note allungate, sfoggiando l'invidiato e abile sapere di questo indiavolato campanaro groppallino.

Sfida? Non valeva la pena di raccoglierla. Siano andate le campane a posto e poi si vedrà. L'un della brigata, dei più quotati, con gesto di disprezzo e di noncuranza urla a quei di lassù "Tasi tasì ca vegna tò papà". E tutti con aria di scherno e sorridenti sospingono il convoglio verso la meta. Finalmente le campane sono issate. Sorge qui ancora contestazione fra le “ville” dei dintorni in quanto quella che più ha dato vuol collocare la campana maggiore verso la sua parte. Il dissidio è alla fine sedato e dopo timide prove, le campane lanciano nella valle il loro trillo superbo. Che gioia quel giorno. Ma quelli di Groppallo non si dan per vinti, giù a suonare a distesa allegramente. Di qui si risponde con altrettanta gioia e con più a lungo fiato, la si insiste in un canto più a lungo, di qui più esteso, di la più bizzarro.

La gara permane imperturbabile per mesi, per anni. Ogni più piccolo motivo scioglie lo scampanio in gara fra le due torri lontane. Centenaro  senz'altro ha il sopravvento. Bisogna riconoscerglielo: Groppallo si è dato per vinto. Però fra le due torri, e perché no? c'è pur sempre un'invidiuzza celata. Se Centenaro suona a festa, Groppallo risponde con il suo suonare argentino, e come un volo di rondini garrule che si scambiano le due torri. 

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