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Correva l’anno 1834,a Santimento scoperte tombe tardo longobarde

All'epoca si diceva che contenessero scheletri di giganti

Per puro caso sfogliando vecchi studi piacentini stampati nel 1836 dalla tipografia vescovile Giuseppe Tedeschi di Piacenza ci imbattiamo in una notizia abbastanza singolare e dimenticata, a farcene memoria è Giovan Battista Anguissola dotto studioso di fama che ne scrive una precisa recensione.

In un terreno agricolo vicino alla chiesa parrocchiale di Santimento retta dall’arciprete e vicario foraneo don Francesco Uttini, paese che oggi è condiviso tra i comuni di Calendasco e Rottofreno, nell’anno 1834 alcuni agricoltori intenti ad arare un terreno chiamato Le Bagatte e di proprietà dello Stato, fanno un rinvenimento archeologico importantissimo. Certamente se fosse avvenuto ai nostri giorni quell’area sarebbe stata analizzata accuratamente e chissà quali altri tesori mostrerebbe oltre al solo dato storico che testimonia una florida e vivace vita rurale.

Il fatto raccontato dagli stessi agricoltori è che trovando resistenza all’aratro, furon costretti a guardare meglio ed a scavare pensando che dei macigni bloccassero l’avanzare dei buoi: ebbene alla loro vista comparvero “molte arche sepolcrali quadrilunghe con coperchi modellati a prisma formate da grossi, lunghi e ben cotti pianelloni alcuni più grandi altri più piccoli”. Si tratta della classiche tombe medievali “alla cappuccina” e ne vennero trovate appunto molte il che può far intendere che fosse un antico cimitero e addirittura prosegue la testimonianza “vennero aperte le arche e dalle rimenenze delle spoglie mortali si vide che nella maggior parte di queste tombe erano stati deposti più cadaveri”.

A Piacenza arrivò la notizia che a Santimento fossero state trovate ossa di giganti di epoca remota, di una altezza mai vista prima e quindi si pensò di mandare sul posto alcuni medici legali per fare una perizia su quei resti misteriosi.

La cosa singolare è che queste arche contenevano “da uno fino a sette cadaveri”, cosa forse neanche tanto rara nei rinvenimenti il ritrovare più corpi nella stessa sepoltura, e i periti “osservando qualche avanzo di cranio” capirono dalla dimensione che erano sia di uomini che di ragazzi o bambini e che “la suggestione degli agricoltori che questi cadaveri vantassero una statura gigantesca” era un ovvio errore, anche se vale la tesi che qualche abitante delle nostre aree potesse avere una statura maggiore per via degli stanziamenti appunto di coloni romani del nord-europa e anche di longobardi che non scordiamolo a Calendasco eran ben assodati e ci basti pensare ai documenti del Codice Diplomatico Longobardo e anche a quelli piacentini dell’Archivio storico di Sant’Antonino di Piacenza già pubblicati che ci danno questa conferma.

L’Anguissola è stato testimone di questi scavi e ne parla e scrive in prima persona per aver potuto osservare i reperti ritrovati accanto agli scheletri e ne traccia uno ad uno una piccola scheda storica per provare a dare una datazione all’imponente scoperta.

Sappiamo da indagini archeologiche di superficie svolte negli anni passati solamente analizzando reperti emersi dalle arature, che anche nella località tra il Campogrande di Calendasco e Santimento venne individuata una grande necropoli tardo romana che fu visionata anche dalla Soprintendenza Archeologica di Parma e Piacenza. Il ritrovamento del 1834 invece si legge che è avvenuto nei pressi della chiesa e la cosa non sorprende proprio per il fatto che questa zona era ampiamente abitata già da epoca romana quando vennero insediati dei coloni che resero abitabili queste terre.

Gli oggeti rinvenuti che crediamo sian stati portati al magazzino del Museo di Parma come usava in quel secolo sono degni di nota ma “ciò che però riuscì oggetto dell’universale meraviglia, fu che ai piedi della maggior parte di quei cadaveri si scoprirono interi o rotti alcuni materiali oggetti” che leggiamo erano: una suola ad uso di falegname (una dimma in legno), un’accetta, un pezzo di falce, un ditale da sarto, la parte superiore di una lancia, una campanella convessa in ferro, un anello da fuso in pietra, un puntale di rame, una piccola chiave da lucchetto in puro rame, una moneta di Ottone III e altri pezzi indefinibili rovinati in legno o altro.

Le tombe risultano con cadaveri sovrapposti nel tempo e quindi anche gli oggetti hanno una diversa datazione, ma già deducono che quei resti partano dall’epoca longobarda e fino a circa intorno l’anno mille. La descrizione dei singoli pezzi è interessante, perchè ci fan intendere che a Santimento eran stanziati anche militi cioè persone al tempo di rango e quindi non solo uomini rurali, anche se con il senno di oggi si possono aggiungere migliori informazioni: la moneta in rame con i simboli e le lettere che mostra è datata all’anno 997 ca. quando regnava Ottone III di Sassonia che è stato incoronato re degli Italici a Pavia, e l’Anguissola si dice certo che gli oggetti “danno a conosce le professioni sia civili che rurali dei defunti”.

Il ditale era non chiuso nella parte sopra, potrebbe esser di un sarto ma sapendo bene che i musei ne conservano di antichi, dalla forma oggi invece desumiamo che sia un anello da arciere perchè appunto quelli museali han questa forma aperta. La punta di lancia  lascia capire che quel defunto sia stato un milite cosa infatti attestata “prova ne sia il sepolcro disotterrato in Piacenza nel giardino del fu conte Pietro Calciati del quale parlai a lungo” e invece della chiave di lucchetto “è certo che nel secolo decimo già da lungo tempo usavansi tali serrature”. Tutte le decine di manufatti in cotto furono trattenuti dal contadino che li riutilizzò per altri lavori edili “il fittabile del terreno era in obbligo di por mano ad alcune riparazioni, e perciò si disse fortunato nell’avere scoperto materiali di ottima qualità”. Del ritrovamento di Santimento spicca il lato storico, importante, che mostra come anche i piccoli paesi e frazioni meno conosciute del nostro territorio piacentino siano invece parte piena del percorso umano vivace che conosciamo dai libri di storia locale.

Umberto Battini

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