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Martedì, 16 Aprile 2024
Attualità Calendasco

Damnatio memoriae, San Corrado ne subì perfino due

Anche al solo pronunciarla, in latino, si capisce che questa breve frase non promette nulla di buono

Anche al solo pronunciarla, in latino, si capisce che questa breve frase non promette nulla di buono: damnatio memoriae, dannazione della memoria, cioè la cancellazione di ogni traccia che riguardi una persona, come non fosse mai esistita. Ce lo spiega bene il dizionario Treccani da dove derivi questo fatto e cosa riguarda. Il nobile piacentino Corrado dei Confalonieri, che è da secoli venerato come santo, ne ha avute ben due, un record imbattuto tra i santi d’ambito locale qui a Piacenza.

La prima dannazione perpetua, che avrà poi dei risvolti storici sulla sua stessa vita pubblica e poi da convertito come penitente tra i francescani, la ottiene verso l’anno 1315. Siamo in pieno medioevo quando la terra piacentina era diventata dominio milanese e sottoposta al duro governo di Galeazzo Visconti, ghibellino temibile e nemico giurato di guelfi e papalini.

A dargli però la damnatio sarà la sua stessa famiglia di appartenenza: i Confalonieri, guelfi e militi del vescovo locale, che erano a capo delle truppe come capitani e portatori del confalone della chiesa con privilegi ed esenzioni notevoli. Una casata molto prolifica, divisa tra la città di Piacenza e le due vallate, quella del Val Chero e l’altra della Val Tidone. Spicca tra la documentazione medievale il feudo di Calendasco e del suo maniero, che i Confalonieri abitarono per circa tre secoli e che dava al più anziano il titolo di capitano del castello, come ben mostrano le carte.

Non era raro che un nobile caduto in disgrazia fosse depennato dalla famiglia, i libri storici ne son pieni, e anche a San Corrado toccò questo sfregio umiliante: dovuto all’incendio che causò durante una battuta di caccia nei dintorni del feudo di Calendasco, dove nacque nel 1290.

Per stanare la selvaggina tra i rovi e la boscaglia fa appiccare piccoli fuochi che però, data la stagione calda in breve tempo vanno a carbonizzare campi di frumento, boschi e qualche piccola cascina agricola comprese le stalle con gli animali. Un danno economico ingente, siamo nel 1315.

Gli sgherri inviati dal Visconti catturano un contadino e lo portano in città perché sia condannato alla forca e così Corrado preso dal rimorso, corre a Piacenza e fa pubblica ammenda: il fatto di esser un nobile gli salva la vita, però deve risarcire tutto il danno.

Tocca ai suoi famigliari raccoglier la somma e liquidare Corrado che così può far fede a questa ammenda, ma si ritrova povero di tutto, denigrato, abbandonato e cancellato dalla memoria dei Confalonieri. Si fa penitente terziario francescano nel piccolo ospitale, poco discosto dal borgo, dove dopo circa dieci anni partirà per la Sicilia, arrivando a Noto, dove ha vissuto da eremita in santità mentre la consorte diventava monaca tra le clarisse di Piacenza.

La seconda damnatio, ancor più feroce, viene procurata alla memoria di Corrado quando ormai è santo per la Chiesa, ma ancora il suo culto deve esser divulgato fuori dalla Sicilia. La cancellazione della sua memoria tra i santi piacentini durerà fino al primo 1600 e sarà voluta dai Farnese ed anche da papa Paolo III Farnese.

Ecco come questa mannaia si ritorce sul culto di San Corrado: nel 1547 i quattro congiurati di Piacenza, cioè i nobili Pallavicino, Landi, Anguissola e Confalonieri uccidono a Piacenza, il Duca Pierluigi Farnese, figlio di papa Paolo III. Dagli atti della confisca farnesiana che poi si abbatte su questi casati, sappiamo che Giovanluigi Confalonieri, congiurato, era partito per il fatto di sangue dal castello di Calendasco dove viveva come feudatario e milite vescovile.

I Farnese da quel 10 settembre 1547, data dell’uccisione, impiegheranno ben quasi quarant’anni per giungere alla vendetta contro il Confalonieri di Calendasco che, finalmente per loro, nel 1590 se ne parte con la famiglia e va esule a Milano. Dove però Giovanluigi è accolto con grandissimi onori, ma questa è un’altra storia.

Ovviamente i Farnese non permisero che il culto di San Corrado, vanto della casata Confalonieri, fosse divulgato nel Piacentino: si dovranno attendere le lettere scritte da Noto nel 1610 dai Giurati netini per aver più precise informazioni circa il santo. Una lettera al Duca Farnese (che se ne lava le mani) una ai Giurati di Piacenza (che faranno una piccola ma accurata e fruttuosa indagine) e una al Vescovo che farà conoscere della nascita del santo di Calendasco.

Con il trasferimento del ramo dei Confalonieri di Calendasco e Val Tidone a Milano, i Confalonieri rimasti dell’altro ramo di discendenza, che manterranno ottimi rapporti con i Farnese, non metteranno mai il becco in questa questione.

Grazie comunque al Confalonieri più anziano, Luigi, si riesce a far breccia nella damnatio farnesiana e si costruisce nel 1613 una cappella al Santo con affreschi in cattedrale a Piacenza, come culto devozionale. Mentre a Calendasco e si badi bene, solo lì, verrà concesso il Patronato e dal 1617 con il Legato Sancti Conradi sarà eretta un cappella dedicata. L’atto redatto in curia vescovile in città è approvato e firmato dal vescovo mons. Claudio Rangoni, che anche fa scrivere dal notaio che “dopo accurata indagine sulla vita da laico di San Corrado si è giunti alla conclusione che nello stesso luogo di Calendasco il santo ha tratto la sua origine terrena e che da anni ormai sempre lì gli abitanti gli tributavano un culto speciale”.

In poche parole possiamo dedurre che a Calendasco, feudo Confalonieri per circa trecento anni, qualche anno prima di questi fatti del 1600, si sapesse della raggiunta santità di Corrado nato nel castello nel 1290, riapparso degnamente dalle nebbie delle due dannazioni della memoria e che riecheggiano nel quadro seicentesco della chiesa e nello stemma Confalonieri che a centinaia ancora resta dipinto sul cassonato del salone superiore del maniero.

San Corrado visse come eremita in una grotta nella Valle dei Tre Pizzoni in quel di Noto e lì morì il 19 febbraio del 1351. Il suo miracolo maggiore è la comparsa “dal nulla nella grotta di roccia” di piccole pagnotte calde che donava ai visitatori attoniti. Il suo ricordo è vivo ovviamente a Calendasco dove è patrono da oltre quattro secoli e dove si venerano due reliquie insigni donate addirittura dai vescovi di Noto nel 1907 e nel 1927.

Umberto Battini

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