Sulla minicar per seguire dodici parrocchie di montagna: «Anche sei messe alla domenica»
Una giornata in tour con Don Luciano Tiengo, 80 anni il prossimo novembre e parroco di Farini dal 2003: «Burocrazia, incombenze, riparazioni, tocca tutto al prete»
Dodici parrocchie da seguire e settantanove primavere alle spalle. Don Luciano Tiengo, a Farini dal 2003, è un prete di montagna che si deve caricare sulle spalle un po’ tutte le incombenze del caso. In una domenica può celebrare fino a sei messe agli angoli più remoti del territorio farinese e anche oltre.
Il sacerdote è originario di Contarina, un tempo comune, oggi frazione di Porto Viro, provincia di Rovigo. Viene dalle terre del Polesine e proprio a causa dell’alluvione del 1951 lasciò con la famiglia, a soli otto anni, la sua terra. «Andammo a Calendasco - racconta di sé - perché un mio zio viveva già a Cotrebbia e mio padre trovò lavoro a Mezzano. Siamo rimasti sempre lì: ho lavorato molti anni in un’azienda di marmitte della zona. Nel frattempo studiavo in seminario in via Scalabrini per diventare diacono».
Già, perché don Luciano ha messo l’abito talare soltanto nel 1998. Come mai? «La mia vocazione venne fuori già a 13 anni, però i miei genitori mancarono presto. Essendo il primo di cinque fratelli, andai a lavorare, per portare avanti la famiglia. Non potevo certo abbandonare i miei fratelli. Ma la vocazione non l’ho mai lasciata».
I primi dieci anni da sacerdote li ha svolti a Bedonia, che fa parte della nostra Diocesi, pur essendo in provincia di Parma. In seguito il trasferimento a Farini. «Non c’ero mai stato in questo comune, ma un giorno il vescovo di allora, monsignor Luciano Monari, mi disse: “Ho già chiesto a due-tre preti e nessuno vuole andarci a Farini”. E ci vado io allora!». Don Luciano accetta l’incarico senza pensarci. «A Calendasco ho ancora casa, ma non ci torno mai però, non ho tempo».
Al suo arrivo, vent’anni fa, Farini già soffriva di un fenomeno che don Luciano conosce bene: l’emigrazione, lo spopolamento. «Abbastanza - si sente di aggiungere - ma c’era ancora un po’ di vita. Ora è rimasta proprio poca gente». I sacerdoti all’epoca erano tre: oltre a lui, don Gianrico Fornasari a Groppallo e don Giuseppe Castelli a Mareto e Pradovera. Ora è rimasto da solo, dopo la scomparsa degli altri due, non rimpiazzati per la carenza di vocazioni. «Adesso mi ritrovo con dodici parrocchie di montagna da gestire. Faccio almeno quattro, più spesso cinque, anche sei messe ogni domenica».
Dodici parrocchie di montagna e non ha nemmeno la patente di guida, ma cerca ugualmente di arrangiarsi. «Ho il patentino, ho fatto un po’ di scuola guida, uso una macchinina. (una mini-car, nda). Vado dappertutto lo stesso, anche se va piano». Si occupa di tutto lui, pratiche e bilanci compresi. Celebrare la messa forse è l’impegno meno gravoso. «Già, c’è tutto il resto, la burocrazia, le incombenze, tocca tutto al prete, mi aiuta un solo commercialista».
UNA DOMENICA CON DON LUCIANO
Proviamo a seguirlo in una domenica qualunque, nel suo “tour” di messe: ne ha in programma quattro a distanza di poche ore, in quattro diversi punti del territorio. A Cassimoreno (che fa parte del comune di Ferriere) sono soltanto cinque i partecipanti alla messa delle 8.30, tre donne e due uomini. È una bellissima giornata di settembre, ma l’inverno - a livello di presenze - sembra già essere arrivato sull’Appennino.
«Un mese fa c’era pieno eh - precisa il don - però oggi sono venuti solo metà dei residenti. Nel paese più vicino, i Roffi, l’ultimo abitante è morto l’anno scorso. Ora la frazione è disabitata». I cinque fedeli hanno tutti una bella voce che accompagna i canti, uomini compresi. Una parrocchiana, al termine della celebrazione, rende noto un suo timore al don: un fulmine potrebbe aver danneggiato il funzionamento delle campane. Don Luciano non accoglie con entusiasmo la notizia, avendo già sulla coscienza un problema ai battelli delle campane di Groppallo. «Una prima stima - si sfoga - parla di 20mila euro di spesa per sistemare, come si fa?».
Proprio la maestosa chiesa di Groppallo - da visitare - dedicata a Santa Maria Assunta, è la tappa successiva dell’attività domenicale. Qua, alle 10 in punto, le parole del prelato sono udibili perfino dal cimitero, dove una lapide recita: “Nella pace di questa montagna sarai più vicino al cielo”.
In canonica, invece, tocca ancora parlare “d’argent”, di soldi, per far fronte a tutte le spese. Un uomo si qualifica come “tesoriere” della parrocchia e ipotizza qualche proposta - come la vendita di alcuni beni mobili - per tamponare la situazione delle campane. Il sacerdote dà il suo beneplacito, all’insegna de “l'importante è tirare avanti”.
All’interno della chiesa un altarino ricorda il forte legame del predecessore di don Luciano, don Gianrico Fornasari, il “prete canterino”, per Groppallo e queste montagne. Un omaggio molto sentito dei groppallini ad un sacerdote che amava questa terra.
Dopo Groppallo, è la volta del capoluogo Farini, per la messa delle 11.15. Il sacerdote nel capoluogo, dove è di stanza, si trova bene. «Sono uno che s’abitua dappertutto, ma a Farini si vive bene, così come a Bedonia, dove però condividevo il seminario con altri quattro preti. In cinque ci occupavamo di sette parrocchie, qua sono da solo».
Don Luciano aveva otto anni quando visse l’esperienza del Polesine alluvionato. Purtroppo il destino gli ha riservato un’altra alluvione, la notte del 14 settembre 2015. L’acqua del Nure invase anche la canonica e la parrocchia, insieme ad altre abitazioni di Farini. Una delle foto simbolo di quella tragedia fu proprio il volto di don Luciano ricoperto dal fango.
Dopo il pranzo, consumato in canonica, don Luciano ha una messa anche al pomeriggio, a Cogno San Bassano. Una ventina di persone assiste alla celebrazione. «Oggi non sono dovuto andare a Pradovera, perché ci ha pensato un diacono lodigiano, Luigi Pagano, a dire la messa (così come spesso una mano la offre il diacono Silvio Scattaglia, nda)». Al prossimo giro toccherà invece a Montereggio e Cogno San Savino, al posto di Cassimoreno e Cogno San Bassano. Bisogna sempre organizzare un “turn over” tra le parrocchie, tra una settimana e l’altra, per accontentare tutti. Groppallo e Farini, i due centri più popolosi, rimangono invece fissi, alle ore 10 e alle 11.15.
Arrivati a sera la stanchezza si fa sentire. Un aspetto fa perdere un po’ le staffe al don. «Purtroppo è difficile - è la sua riflessione - che un credente di queste parti si sposti in un paese vicino per andare a messa. “Noi a casa degli altri non ci andiamo”, sento dire dalla gente. Un atteggiamento poco cristiano. Ma non posso essere nello stesso momento in due parrocchie diverse. È cocciutaggine, campanilismo. Piuttosto rinunciano alla messa». Il sacerdote, che a novembre compirà ottant'anni, prova a tenere duro. «Finché c’era don Gianrico Fornasari riuscivo a fare tutto bene, da quando è morto la faccenda è più complessa. La Diocesi, per un periodo, aveva mandato un prete ad aiutarmi, ma poi ho saputo che si è spretato. Va beh, io proseguo con il mio solito tran tran, faccio il mio».