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Don Mazzi in Cattolica: «Ho sposato i balordi perché lo sono anch’io»

Don Antonio Mazzi, fondatore della comunità di recupero Exodus, all'Università Cattolica per la Giornata del Dono

«Questa è la società del ricevere e dobbiamo essere fieri di andare controcorrente. Quella del dono facciamola diventare non una giornata, ma un’intera vita, altrimenti è una falsità, deve diventare una cultura, una disciplina, quella del dare». Questo è uno dei tanti consigli dispensati all'università Cattolica da don Antonio Mazzi fondatore della comunità di recupero Exodus che a dispetto dei sui 88 anni, ha ancora l’energia di un ragazzino e ha elargito agli studenti, nel corso del “DonoDay 2018”, giornata promossa dall’università in collaborazione con Svep Centro Servizi per il volontariato di Piacenza, una catechesi di vita. Il frutto delle sue straordinarie esperienze a favore degli altri, supportato «dalla fede che dà speranza e poi fluisce nel dono, quella stessa fiducia che c’è nel Vangelo che è un libro di poesia, non di teologia».

Dopo il saluto del direttore Mauro Balordi e dei presidi di facoltà Anna Maria Fellegara, Marco Trevisan, Luigi Pati e di Laura Bocciarelli presidente di Svep, presentato dal docente Paolo Rizzi, ha preso la parola don Mazzi. E' sceso in mezzo al pubblico perché «odio tutti i palchi. Ho sposato i balordi perché lo sono anch’io e se leggete il Vangelo, non ce n'è uno giusto. E se c’è uno che non doveva fare il papa, era proprio Pietro perché mancava di prudenza». «Bisogna dunque - ha detto - creare una cultura anticonformista e nella società del ricevere dobbiamo essere fieri di dare, ovvero andare controcorrente, facendone un comportamento quotidiano, una cultura, e non solo celebrando una giornata.  Voi giovani siete l’unica speranza e ricordatevi che essere poveri è una ricchezza, la medesima di Francesco d’Assisi e Madre Teresa di Calcutta che hanno usato la povertà per cambiare il mondo, essere poveri di spirito è un progetto di vita».

Mazzi ha ripercorso le tappe fondamentali della sua vocazione, nata dall’esigenza di essere padre, quella figura che a lui era mancata cosi presto e concretizzatasi, appena ordinato, al tempo dell’alluvione del Polesine nel 1951 in una casa per ospitare i ragazzi. «Noi siamo già un dono, siamo nati come desiderio di Dio. L’Italia cambierà solo nel giorno in cui il dare diverrà un elemento strategico della nostra vita. Così io sono ancora qui perché il padre eterno mi ha messo nella situazione del dare, che è la mia felicità». Ed ha citato il toccante, sconvolgente, abbraccio con Erika di Nardo che uccise con il fidanzato la madre ed il fratello «perché la società del dono è quella del perdono ed il Vangelo è fondato su questa parola». Se la "Giornata del dono", era una manifestazione nata per stimolare gli studenti di tutta la comunità universitaria a una riflessione continua sui valori della solidarietà e della fraternità, don Mazzi ne è stato un messaggero straordinario, sia con le sue parole, ma soprattutto con il suo esempio di vita.

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