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Giovedì, 25 Aprile 2024
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Ducato o ducati? Prima Piacenza o prima Parma? La nascita del ducato indica Piacenza-Parma

Dopo la morte di Pier Luigi Farnese i duchi negli atti ufficiali parlarono “di Parma e Piacenza”

Proseguiamo l’approfondimento dei temi dibattuti dal recente convegno internazionale di studi farnesiani proponendo anche la sintesi pubblicata dal quotidiano “La Cronaca di Piacenza”, relative al precedente Convegno farnesiano proposto dalla Banca di Piacenza nel novembre 2007 (sul quale la Banca ha pubblicato in due distinti volumi le relazioni e gli atti – prima inediti – del procedimento penale in morte del Duca avviato da Paolo III).

Pier Luigi fu il primo a reggere il ducato di Piacenza e Parma: la bolla papale d’investitura, di due anni precedente, esplicitamente parla di “ducato” (al singolare) “di Piacenza e Parma”. Successivamente si distinsero due ducati (pur se i confini non risultarono mai precisi). Dalla morte di Pier Luigi Farnese i duchi negli atti ufficiali si dissero “di Parma e Piacenza” e non più “di Piacenza e Parma”, anche se avvenivano inversioni nell’ordine dei nomi secondo il trovarsi, il duca Farnese, nell’una o nell’altra città.

La prestigiosa sequenza di relatori del Convegno ha allineato gli interventi di Giovanni Tocci, Giuseppe Galasso, Jean Jacques Marchand, Giorgio Fiori, Emanuele Cutinelli-Rendina-Marco Horak, Angelantonio Spagnoletti, Robert Gionelli, Domenico Ponzini, Valeria Poli, Ferdinando Arisi, Stefano Pronti, Patrizia Rosini e del principe Maurizio Ferrante Gonzaga del Vodic imparentato, da parte della madre Anguissola Scotti, con gli Anguissola che discendono dal conte Giovanni, il deus ex machina dei congiurati che, con l’aiuto di due complici, pugnalò a morte il Duca di Piacenza e Parma.

Primo a prendere la parola nel Convegno del 2007 moderato dal saggista Marco Bertoncini, è stato, Sergio Bertelli, docente emerito all’Università di Firenze, che ha ricordato come nei primi decenni del 1500 nel magma di governi, popolazioni e culture, cominciano pian piano a nascere nuovi Stati come diretta conseguenza del nepotismo papale, che ha origine con Sisto IV, prosegue con Alessandro VI, che affida al figlio Cesare Borgia la zona delle Romagne, e poi con Paolo III, che crea per Pier Luigi Farnese il Ducato di Piacenza e Parma. Questi nuovi Stati, pur tra mille difficoltà, servono comunque a razionalizzare in qualche modo la situazione: Borgia riuscì a pacificare le rissose Romagne; Pier Luigi, nonostante i metodi poco ortodossi, diede avvio a un processo di unificazione che, nei secoli, portò i suoi frutti. Tutto ciò mise chiaramente in crisi i pilastri di un ordine costituito e portò inevitabilmente al bagno di sangue di cui sappiamo.

Aldo G. Ricci, sovrintendente all’Archivio centrale dello Stato, ha evidenziato che Pier Luigi Farnese arrivò all’investitura del 1545 piuttosto preparato: conosceva la situazione piacentina, non era uno sprovveduto dal punto di vista culturale e comprendeva bene la lezione dei maestri dell’epoca, Macchiavelli e Guicciardini. Di quest’ultimo fece proprio il motto “Quando si inizia un’impresa, va portata fino in fondo”: è quello che fece, o meglio tentò di fare, a Piacenza. Forse in modo affrettato giocò d’anticipo contro le tante forze, locali e internazionali, che remavano contro; ma tanta fretta nel voler attuare le riforme contribuì a gettare benzina sul fuoco, accelerando i tempi della congiura.

Non giustifico affatto la congiura – ha puntualizzato il principe Maurizio Ferrante Gonzaga del Vodic – perché la violenza non ha mai giustificazioni. Ma credo che il Duca Pier Luigi abbia davvero fatto di tutto, sia in politica interna ad esempio con il rafforzamento dell’Editto Salviati, sia in politica estera, per esasperare i nobili ei feudatari piacentini. Pier Luigi puntava chiaramente a impossessarsi dello Stato di Milano, ecco perché Ferrante Gonzaga ebbe un ruolo importante, ma non da protagonista come molti sostengono, in questa congiura.

Il nuovo Signore di Piacenza probabilmente aveva idee illuminate, consigliato anche da persone come Annibal Caro, ma fu troppo irruente, imprudente, smanioso di controllare tutto e tutti a danno esclusivo dei nobili e dei feudatari. Comunque, nonostante tutto questo, non credo affatto si possa parlare della congiura come di un tirannicidio come invece sostenne fino alla fine dei suoi giorni il conte Giovanni Anguissola.

Concordi i relatori del convegno sul fatto che di fronte a sé Pier Luigi si trovava «un’amministrazione pressoché inesistente, una giustizia largamente arbitraria, una legislazione per lo più consuetudinaria, un’economia affidata a se stessa e priva di sostegni governativi, una vita culturale priva di quel mecenatismo che all’epoca era condizione necessaria per qualsiasi iniziativa di un certo respiro». Ne derivava la necessità di un’amplissima opera, da condurre in fretta e con le difficoltà politiche e militari, sia interne sia esterne. Pier Luigi tentò di mettere in piedi una struttura amministrativa moderna, con propositi ben precisi d’intervento sulla situazione economica e sociale del ducato. Uno dei problemi principali era il patriziato locale, abituato a non sentire la presenza di un potere forte.

Era stato il presidente, avvocato Corrado Sforza Fogliani (che è anche Presidente del Comitato di Piacenza dell’Istituto per la storia del Risorgimento) a concludere i lavori, tracciando le linee guida emerse dall’intensa due giorni dedicata a Pier Luigi Farnese:

 “Lo Stato non è l’unica forma di convivenza civile: il territorio piacentino, ai tempi di Pier Luigi Farnese, si reggeva su una forte feudalità mutuata nei secoli. I feudatari che parteciparono alla congiura altri non erano che gli eredi dei banchieri prosperanti dalle nostre parti intorno al Mille. Una tradizione radicata nel Piacentino, scalfita solo in parte dal decreto di limitazione delle prerogative feudali emanato nel 1441 dal Duca di Milano. I feudatari piacentini, seppur in perenne contrasto tra di loro, avevano la capacità di far fronte comune di fronte alle minacce, ricorrendo a potenti “esterni” e appoggiandosi ora a uno, ora all’altro, pur di difendere il sistema e la propria autonomia. In sostanza la congiura piacentina che portò all’uccisione di Pier Luigi Farnese (10 settembre 1547) fu una sciagura per Piacenza (in quanto, la capitale venne poi dai Farnese trasferita a Parma). La congiura fallì, sul piano politico: il Ducato, infatti, continuò e – con esso – la camicia di forza che sempre l’unione (innaturale) a Parma costituì per noi, soffocando il nostro sviluppo, legato storicamente ai riferimenti di Milano e di Genova. Il corpo estraneo (alla nostra storia e alla nostra tradizione) costituito dal Ducato in sé, fu la nostra vera rovina. Tant’è che dopo l’Unità – nonostante il legame all’Emilia invece che alla Lombardia, derivato dal periodo ducale e confermato nel secolo scorso anche dalla Costituente – Piacenza conobbe uno dei suoi più floridi periodi di espansione economica e di progresso sociale, paragonabile solo a quello caratterizzato dai banchieri piacentini trecenteschi”.

... continua

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