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Esposto in Sant’Agostino un importante dipinto di fattura neo-classica

Solo di recente ne è stata ricostruita la storia estesa su oltre due secoli

Con il passare dei mesi cresce tra i piacentini la conoscenza e la consapevolezza del patrimonio cittadino costituito dalla ex Chiesa di sant’Agostino. Il maestoso tempio rinascimentale - costruito alla metà del XVI secolo dai religiosi Lateranensi dopo che il duca Pier Luigi Farnese li aveva sfrattati dal Monastero inglobato nell’area delle mura farnesiane per costruirvi il suo “Castello”- ha iniziato una nuova vita grazie a “Volumnia”. Così è stata battezzata la sfida artistica della gallerista Enrica De Micheli che all’interno del tempio propone ricorrenti esposizioni di Arte e cultura con rassegne di sculture, dipinti, creazioni di design e oggetti e collezioni d’arte. Gli eventi sono caratterizzati da sistemazioni e accostamenti sapienti e fantasiosi che trasformano in opportunità le difficolta insite nella grandiosità dell’ambiente, tale da aver dato origine all’espressivo paragone “ess cm’è un ratt in sant’Agustein”, a raffigurare un topolino disperso in un ambiente smisurato.


In questi giorni i visitatori hanno la possibilità di ammirare un importante dipinto di fattura neo-classica che per le notevoli dimensioni 4,5 metri di base x 2,70 di altezza s’inserisce in modo armonico sulla vasta parete dove è appeso. Ne riferiamo diffusamente potendo presentarne alcune belle immagini d’insieme e di particolari, e riferirne la storia che si sviluppa su oltre due secoli, ma che solo di recente è stata riannodata. 


Il dipinto raffigura il momento più drammatico di un episodio della mitologia greca. Ne è protagonista Niobe, figlia del mitico Tantalo e di una ninfa che aveva sposato Anfione, re di Tebe, dal quale aveva avuto sette forti e robusti figli e sette bellissime figlie. Ne era così orgogliosa da affermare di essere più feconda di Leto che da Zeus aveva avuto solo due figli Artemide e Apollo. Per questo pretendeva che a lei e non a Leto spettassero gli onori divini, tra i quali quelli di essere riconosciuta dea protettrice dei fabbri che erano il simbolo del progresso tecnologico del tempo. I figli di Leto decisero di punire Niobe per l'irrispettosa vanteria; giunti a Tebe nascosti da una nube trafissero con le loro frecce tutti i quattordici figli di Niobe. Per la disperazione Anfione si uccise e Niobe fu tramutata in roccia conservando la sua forma; tuttora continua a piangere tanto che da quella pietra colano incessantemente gocce d'acqua... 


Le prime notizie certe sul dipinto risalgono agli anni Trenta del secolo scorso quando a Inveruno (Mi) abbelliva una parete della Conceria fratelli Samaja che forniva pellame ai piccoli calzaturifici artigiani nella zona e nei distretti esterni di Parabiago e Vigevano. Negli anni l’attività era stata estesa ai prodotti chimici di finissaggio per le calzature dando  origine alla ditta ACI (Azienda Chimica Inveruno). Nel periodo della seconda guerra mondiale il dipinto fu nascosto unitamente ad altri beni di famiglia per evitare le razzie a seguito delle leggi razziali; ricomparve nel primo dopo guerra nella palazzina uffici nel grande studio del Direttore dell’ACI. Negli anni ‘90 con la scomparsa dei fratelli Samaja la proprietà passava alla moglie Amelia Sacchi e alla di lei figlia portatrice di handicap. Alla morte della signora Sacchi il tutore della figlia in accordo con il giudice tutelare decise di fare proseguire l’attività ma anche di attivare sinergie con la ditta Sacma spa di Sedriano, rappresentata dal dott. Guido Gianarda che si occupa di prodotti chimici per l’industria conciaria. Le due aziende si fondono nella AC SA chimica srl che mantiene i marchi di vendita originali e trasferisce l’attività in un nuovo stabilimento in comune di Sedriano la cui hall sarà dominata dal dipinto. 


Questo fino a un paio di anni fa quando il signor Massimo Ciaccio importante Brooker assicurativo con la passione dell’arte convince Gianarda compiere ricerche sull’ignoto autore del dipinto che l’esperta d’arte Linetta Fornasari attribuirà a Francesco Nenci (1781 – 1850), pittore italiano specializzato in pitture a carattere storico formatosi prima a Città di Castello, poi all'Accademia di Belle Arti di Firenze. La Fornasari ha anche evidenziato che la tela è in un unico pezzo senza cuciture. La stessa tela è stata datata prima metà del 700 il che potrebbe significare che la bottega proprietaria non ha vissuto periodi di crisi economica potendo permettersi un magazzino di tele per pittori pelli a varie misure senza dover tagliare le più vecchie. Alla conoscenza dell’autore è seguita la decisione del dottor Gianarda di presentare il dipinto in sedi prestigiose quali la Galleria Santa Marta Milano, Palazzo Cusani Milano ed ora in Sant’ Agostino dove rimarrà ancora per alcuni mesi.

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