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Produrre vino in Valdaveto / Ferriere

L’ex arbitro divenuto vignaiolo in Valdaveto: «Offrire un bicchiere a chi passa è condivisione»

L'amore del piacentino Riccardo Curotti per Barche di Salsominore, fino all'avvio della piccola produzione con la moglie Elisabetta: «Meno di mille bottiglie all’anno, per noi, per gli amici e per chi passa da queste parti»

«Ero venuto in Valdaveto per staccare un po’ la spina e cambiare aria. Mi sono trovato a diventare un produttore di vino in montagna». Riccardo Curotti, ex arbitro di calcio, iscritto all’Aia per 37 anni (è arrivato a calcare i campi della serie C) da molti anni ha trovato il suo luogo del cuore a Barche di Salsominore, comune di Ferriere, insieme alla moglie Elisabetta Vaienti.

Nato a Piacenza, pensionato dopo aver lavorato per 39 anni alla Safta, ha conosciuto la moglie da ragazzo. Elisabetta lo affianca nel tempo libero dalla sua professione nei suoi progetti vitivinicoli. «Da giovani i nostri coetanei - ricordano entrambi - andavano a ballare mentre noi, quando avevamo 18 e 15 anni, ci svegliavamo presto per andare a funghi». I due sono residenti in questa piccolissima località quasi attaccata a Salsominore.

In Valdaveto hanno sempre passato ogni momento libero. «Dormivamo in tenda per assaporare il massimo della libertà», ricorda lui. Dall’inizio degli anni Ottanta la coppia frequenta, in villeggiatura, Salsominore, rimanendo a vivere a Piacenza. Poi ha intravisto la possibilità di acquistare una vecchia casa a Barche, che dista a poche centinaia di metri dal paese. «Piaceva molto a me e a mia suocera - precisa Elisabetta -, così tra il 1995 e il 1996 è stata sistemata. Appena era possibile lasciavamo Piacenza per stare a Barche». Attorno, tante terre coltivabili, dalle pendenze non estreme.

Riccardo e Elisabetta-2

PRODUTTORE DI VINO IN VALDAVETO

Nel 1996 parte il grande progetto di recupero delle viti attorno alla casa, abbandonate dagli anni ’50. Nel 1998 la prima vendemmia: «Ci siamo fatti un…sedere così», sottolineano Riccardo ed Elisabetta, che mettono a frutto gli insegnamenti del vicino di casa Carlo Scaglia, la quale attività vinicola è stata portata avanti dal figlio Bruno. Nel 2000 aumentano le conoscenze tecniche e incominciano ad ingranare. Si parte con due bianchi: il “Lisora” e il “Dolcetto”. «Sono i due vini autoctoni della zona», spiega Riccardo, che ha frequentato anche alcuni corsi da sommelier. «Visto che sono un appassionato di vini dell’Alto Adige, nel 2015 ho riscoperto il “Kerner”».

Dall’alessandrino ha preso anche il “Nibiö da a Picùla Rùsa”, il «vero dolcetto». Poi, la Malvasia di Candia. «Questo vitigno ci sta dando risultati strepitosi. L’innalzamento delle temperature rende il vino della bassa collina caldo, senza acidità, più alcolico e più piatto, da queste parti viene meglio». «Quando abbiamo preso casa a Barche - traccia un bilancio dell’avventura da produttore - non pensavamo di arrivare fino a questo punto».

Il vino prodotto non è in commercio. «Siamo piccoli produttori, meno di mille bottiglie all’anno, per noi, per gli amici e per chi passa da queste parti. Quando veniamo salutati da gente di passaggio in zona per una scampagnata, invitiamo a bere un bicchiere. Offrire un bicchiere è simbolo di condivisione e ascolto, ciò ci rende felici. Porgerlo significa dare qualcosa che ci appartiene, donare una parte di noi stessi». L’incontro più bello degli ultimi mesi? «Una comitiva di americani». Quando arriva il tempo della vendemmia, viene anche ad aiutare il figlio 44enne Emanuele. «Il nostro sì che è un vino Bio al 100%. Non ci sono bisolfiti. È proprio “sangue della terra”».

I due coniugi coltivano anche patate di qualità antica, come la patata “quarantina prugnona” tipica della Valdaveto. Ma anche mais, frutti antichi, carciofi, zafferano, asparagi. «Quella che proviamo è fatica “fisica”, ma un grande rilassamento mentale. A Piacenza ci capita esattamente il contrario, forse siamo due “pazzi furiosi”», scherza l’ex arbitro.

«NON DEVE PREVALERE IL DISINTERESSE PER QUESTE ZONE»

Su un aspetto vorrebbe che la mentalità degli abitanti fosse meno “montanara” e più cittadina. «Ogni volta che si allarga la vigna, è faticoso e complesso acquistare gli appezzamenti di terreno dai proprietari. La gente abbandona case e terre, che vanno a ramengo. Se ne disinteressano, ma non vogliono vendere, per principio. Così la montagna muore ancora di più». Non c’è certo la corsa ad acquistare e rilanciare, però su questo si potrebbe essere più aperti. «Difficile trovare qualcuno che sia disposto a vendere, piuttosto si lascia morire tutto, pagandoci sopra anche le tasse».

L’ORIGINE DELLE BARCHE

Da dove arriva il nome “Barche”? Forse era un luogo di transito per le popolazioni celtiche. «Il nome - l’ex arbitro prova a spiegare l’etimologia della parola - potrebbe derivare dal celtico “berg” (borgo). Oppure, ed è l’ipotesi più probabile, dal fatto che i barchi erano le costruzioni dai tetti spioventi che ospitavano il fieno». Questa località non va però confusa con Barche Costiere di Coli o Barchi di Ottone, altre due località della montagna piacentina.

LA BELLEZZA SELVAGGIA DELLA VALDAVETO

Perché è così bella la Valdaveto? «Non c’è modo di spiegare - prova a rispondere Riccardo, innamorato di questa zona e ora residente a tempo pieno - basta venire a vedere. Ma siamo un po’ gelosi di questo territorio».

«HEMINGWAY PRESE UNA “CIOCCA” QUI…»

A Salsominore, in paese, sopravvivono un ufficio postale, un negozio di alimentari, un bar-ristorante e un meccanico. Da qualche anno non c’è più il distributore di benzina. «Abbiamo quello che ci serve per vivere - riflette Riccardo -. Sicuramente questa è la vallata piacentina più selvaggia e interessante, la meno contaminata dall’uomo. La verità è che lo scrittore Ernest Hemingway i suoi complimenti li ha spesi per la Valdaveto, non per la Valtrebbia. Anche perché qua prese una “ciocca micidiale”…».

Valdaveto-11

Qualcosa dovrà pur mancare da queste parti: che cosa, nello specifico? «Le strade, una viabilità migliore, più sicura. Le frane sono all’ordine del giorno, in Valdaveto è normale che sia così. D’inverno, quando ci sono ghiaccio e neve, lasciamo l’auto in paese, perché da casa nostra sarebbe impossibile spostarsi. Però non ne facciamo un dramma: si è troppo abituati alle comodità, che mancano perfino in città. Quando non trovi il parcheggio vicino a casa, è lo stesso problema».

Si rischia di passare un po’ per “matti” a vivere isolati da queste parti? «Chi lo dice è per invidia - scandisce Riccardo - è un po’ come nella favola della volpe e l’uva. È palese che si stia meglio a Salsominore… Sia chiaro: la città ci ha dato da lavorare, Elisabetta prosegue ancora oggi la sua professione. Piacenza ci ha permesso di avere una famiglia e di vivere con dignità, mica la odiamo, ma amiamo stare qui».  

A Salso la dimensione è molto diversa. «In tutti questi anni - conclude Riccardo - i vecchi del posto mi hanno insegnato tanto, li ho sempre ascoltati prima di decidere cosa fare di queste terre». Poi bisogna passare dalle parole ai fatti. Come dice un detto di queste parti: “Tanta lapa, poca sapa”. Chi fa andare la lingua per dire tante parole, usa poco la zappa. Riccardo ed Elisabetta hanno dimostrato, con i fatti, di poter recuperare dei vitigni - abbandonati da quarant’anni - in una terra di montagna. 

(fine)

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