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Venerdì, 29 Marzo 2024
Le gabelle del passato

Nel 1624 si pagava una "tangente" al capitano della Darsena del Po

Una tassa che sembra presa dal “Marchese del Grillo” di Alberto Sordi

Tra le centinaia di carte ufficiali e storiche circa la gestione del Porto di Piacenza “alla Romea” di Porta Borghetto, una merita un’attenzione particolare: si tratta della tangente (quota, rata, percentuale ed anche interesse che legittimamente spetta a ciascuno) per il Capitano della Darsena del Po.

Sembra, nel leggerla, una tassa presa dal “Marchese del Grillo” di Alberto Sordi. I dati delle carte d’archivio di quel 1624 ci faranno anche sorridere, per certi versi. Lo stesso cardinale Alessandro Farnese acconsente “che formiate una tassa per esso Capitano... et sia osservata da lui a puntino. Nostro Signore Dio vi guardi”.

Si tratta della “Tassa dell’esigenza delle honoranze, regalie e prerogative ” dovute al “Capitano della Darsena del fiume Po piacentino”, ed esse devono essere “di qualità e quantità” e questa “tassa” la devono dare “capitani di barche... barcaroli...pescatori e chiunque sia navigante, transitante per le dette acque”.

Senza scordare che costoro che navigano sul Po con imbarcazioni cariche di merci, devono pagare anche la gabella statale in denaro sonante, quindi questa piccola estorsione “in natura”, come vedremo nel dettaglio, assume proprio il sapore di un’extra, estorto dal potere dominante, e questa tangente resterà in vigore ancora per circa un secolo e mezzo qui a Piacenza.

Dal dettaglio di questa “honoranza” scopriamo però il tipo di merce che veniva trasportato via Po ed anche la provenienza e questo ci apre veramente tutta una visuale su quei tempi, che a torto crediamo rinchiusi dentro le mura di città e borghi fumosi e scuri, ed era una tassa “in natura” comunque non esosa ma di certo “antipatica”.

Il Capitano della Darsena e della Longa del Po di Piacenza era di nomina ducale, e percepiva dai naviganti del Po le “regalie” ed ovviamente aveva dei sottoposti ed a sua volta egli ubbidiva al Magistrato Camerale che era l’organo governativo che si occupava della navigazione e di tutte le acque del demanio.

La prima voce è già un programma: “da ciascuna nave che venga da Venetia, una fiasca di malvasia... di 9 once piacentine” (circa tre etti ovvero una mezza bottiglia)” ma pure “due scartossi di pepe” (di peso circa un etto).

Intanto scopriamo che c’era un grande transito di navi dirette a Piacenza ed anche a Pavia provenienti da Venezia, rimane curioso il fatto di esigere “una fiasca di malvasia” dai veneti, per cui dobbiamo pensare che il capitano di quella nave partisse premunito di vino malvasia da regalare qui al porto al Capitano della Darsena.

Per “ogni burchio di pesce forestiero... libre 9 di pesce” (circa due chili e mezzo) oppure si poteva dare un piccolo corrispettivo in denaro; poi “per ciascun pesce grosso di libre 100 (circa 30 chili) che si prenda nelle acque piacentine del Po” van date 2 libre di pesce (poco più di sei etti). Il burchio è un battello di grandi dimensioni dal fondo piatto per poter navigare agevolmente nei bassi fondali, lungo tra i 25 ed i 35 metri, praticamente quello che qui nel piacentino chiamiamo “magana”.

Per “ciascun barile di olive una libra di esse” e “per ciascun barile di pesce salato o marinato... un pesce per barile”, per “ciascun migliaio di tartaruche, 6 di esse”, ed ancora “per ogni barile di lumache, una libra d’esse” (tre etti), “per ogni 25 barili di fichi, una libra di essi”.

Insomma sulla mensa del Capitano e dei suo preferiti, ogni giorno, a seconda dei navigli in transito o in fonda, fioccavano ottime leccornie d’ogni genere, mentre il Governo Ducale invece traeva un profitto economico non indifferente con il tariffario riferito a ogni tipo di merce.

Quindi leggiamo di “ogni sacco di amandole (mandorle) una libra per sacco”, e per “ogni sacco di riso 6 once per sacco” (circa due etti), per “ogni mille verse (verze), due di esse”, quindi per “ogni sacco di castagne verdi o secche, una libra d’esse”, e questa è invece una voce interessante “per ogni cento pesi di salamo, libra uno d’esso” (cento pesi son circa 80 chilogrammi e una libra poco più di tre etti).

Ma la tangente “honoranza e ragalia” riguarda anche “ogni cento meloni, due di essi” e “per ogni migliaio di aglio un mazzo d’esso”, ma anche transitavano frutti rari “per ciascuna somma di limoni e naransi (arance) una d’esse”, quindi “per ogni sorta di maiolica un piatto e un tondo di esso”, e pure “per ogni sacco di nizzole (nocciole) una libra d’esse” (un sacco corrispondeva a circa un quintale).

Non mancano i carciofi: “per ciascuna somma d’artechiocchi e di spargi (asparagi) un mazzo d’essi”, “per cipolle nostrane (piacentine) sei di esse” ma “per ogni cento ceste di cipolle ferraresi una cesta di esse” e per “ogni somma di frutta, pome, uva, pere, fichi, persichi, sei di essi per ogni sorte” (la somma era un’unità di misura che per la frutta era riferita a circa 120 chili).

Ovviamente di questa “regalia” si ordina “che se ne affiggano copie nei luoghi opportuni, perché sia vista e intesa da tutti” e quindi questo “avviso ai naviganti” non poteva essere sotteso da nessuno con pene severe sia in una multa danarosa che in altra “pena corporale ad arbitrio”, insomma non c’era da sgarrare.

Possiamo ipotizzare che questa “gabella extra” sulla già onerosa in denaro prevista caso per caso, forse sia stata presa con le pinze dagli inservienti del porto piacentino e che si siano accontentati di ricevere per la umile “tavola” una minor parte di questa onoranza.

Fatto sta che questo è il dato di fatto ufficiale, nero su bianco, che emerge dalla ricognizione di questa fitta e magnifica documentazione storica circa il nostro Po piacentino, che inesorabile scorreva via, con le sue piene e le sue secche, mentre le “gabelle” rimanevano inalterate e gravose, su chiunque navigasse queste acque.

Umberto Battini

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