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Mercoledì, 24 Aprile 2024
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Il Codice landiano e uno studio di mons. Ponzini inaugurano il 700° anniversario di Dante

Ripresa, alla galleria Ricci Oddi l’attività della Società “Dante Alighieri” dopo la sospensione-Covid, e inaugurazione delle “Celebrazioni dantesche” aperte il 5 settembre dal presidente della Repubblica

Ripresa, alla galleria Ricci Oddi, l’attività della Società “Dante Alighieri” di Piacenza dopo la sospensione-Covid, e inaugurazione delle “Celebrazioni dantesche” per il 700° anniversario della morte del Poeta, aperte il 5 settembre dal presidente della Repubblica. 

La scelta degli argomenti ha voluto essere un piccolo omaggio alla nostra Città, trattando elementi danteschi che “legano” proprio Piacenza al Sommo Poeta.  L’incontro si è infatti incentrato sul “Codice Landiano 190”, autorevole copia della “Commedia” di Dante; e su uno “studio” dei vv.7-9 Paradiso/XXV di Monsignor Domenico Ponzini, nota figura culturale piacentina (oggi ritiratosi a Bedonia). 

Relatore per entrambi gli argomenti il presidente della Dante piacentina dott. Roberto Laurenzano, che dopo aver evidenziato contenuti, stile e aspetti vari del “Codice”, ne ha tracciate le vicende del suo possesso nel corso dei secoli: da1336 - anno in cui fu compilato dal marchigiano Antonio da Fermo per volontà del podestà Beccario de’ Beccarìa - fino all’‘800 quando, acquistato dal marchese Ferdinando Landi di Piacenza, fu dallo stesso lasciato con volontà testamentale al Comune di Piacenza e, dunque, alla Biblioteca Comunale, nata nel 1774 e intitolata a Pier Francesco Passerini, al cui cognome fu affiancato quello del Landi.

Il “Codice 190” è la miglior copia integrale della “Commedia”, e la sua importanza deriva anche dalla totale assenza “in originale” delle opere del Poeta. Il Poema (scritto tra il 1300 e il 1321, con pubblicazione di Inferno e Purgatorio nel 1314-16, ma ancor privo del “Paradiso” in fase di composizione), fu trovato monco degli ultimi 13 Canti del Paradiso quando Dante morì. Si tramanda che fu il figlio Jacopo a rinvenire i suddetti 13 Canti, nascosti in un luogo indicatogli in sogno dal padre. Verità o leggenda? Sta di fatto che Jacopo li scovò. Ma nei secoli la “Commedia” (denominata “Divina” 40 anni dopo dal Boccaccio) scomparve. Distrutta? O perduta? Forse. Fu nascosta? Più probabile: forse in qualche Archivio anche parrocchiale di Verona (Dante aveva rapporti con Cangrande della Scala), o in Valpolicella (in casa del figlio Pietro), o nell’Abbazia di Pomposa (ove i monaci erano validi copisti, e frequenti erano i rapporti con loro da parte di Dante), o in Biblioteca Vaticana, o anche “avignonese” (in periodo di “cattività dei Papi”). Non si sa.

Ecco pertanto l’importanza dei “copisti”, di cui il più autorevole fu appunto Antonio da Fermo, compilatore del Codice posseduto da Piacenza, e di cui Laurenzano ha auspicato una maggior conoscenza, a partire dal nostro territorio. 

Passando allo “studio” di Mons. Domenico Ponzini sui vv. 7-9 del canto XXV del Paradiso, Laurenzano ne ha commentato il significato. Ivi Dante manifesta la speranza di tornare a Firenze, e ivi ricevere nel “suo” Battistero nuovamente “il cappello” (“del battesmo prenderò il cappello”); su tale ultima parola vi è una controversia interpretativa tra chi la collega al francesismo “chapel”, cioè alla “ghirlanda d’alloro” conferita ai “Grandi” e mons. Ponzini che invece, assai ragionevolmente, la riferisce alla “cappa” bianca, cioè alla “veste bianca” del battesimo indossata dopo il rito dal neo-battezzato in segno di ricevuta purificazione. Cappa, che passava attraverso “il capo” del battezzato, come testimoniano tutti i documenti liturgici del tempo, e anche anteriori e posteriori a Dante, ed esistenti presso lo stesso Archivio Capitolare della Cattedrale di Piacenza, e altrove; cappa che fu talora anche connessa alla “Mitra” posta sul capo del battezzato. La speranza di Dante sarebbe dunque un riconoscimento di natura “spirituale”, come tale è la sua Opera legata alla sua redenzione.

La “Ghirlanda d’alloro” era un riconoscimento “laico” conferito a Roma in Campidoglio. Monsignor Ponzini - laureato in lettere e arte, e in teologia, e specializzato in liturgia (di cui è profondissimo conoscitore), ex Direttore dell’Ufficio Diocesano dei beni storico-archivistici - conosce assai bene il significato dei “segni” simbolici liturgici e l’importanza di essi nei riti. Così come Dante. Oltretutto, sperare nell’“alloro” sarebbe apparsa quasi un’auto-presunzione del Poeta, in contraddizione con la sua avvenuta purificazione. Logico e fondato pertanto lo studio di Don Ponzini, commissionatogli dall’Università di Pavia, a suo tempo, pubblicato in un’edizione del “Bollettino storico piacentino di storia, lettere e arte”, in possesso e molto apprezzati anche dalla Società Nazionale della “Dante Alighieri”, a Roma. 

Scalfire “interpretazioni” tradizionali non è facile. Ma chissà che non si possa vedere un giorno – ha terminato Laurenzano, in evidente sintonia con il pubblico, tra i presenti anche l’avv. Corrado Sforza Fogliani – una “errata corrige” a firma Ponzini-Piacenza. 

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