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Venerdì, 29 Marzo 2024
Curiosità

Il glossario medievale piacentino del vestiario 

Andando a leggere tra le righe delle carte medievali piacentine, troviamo vocaboli che ci suonano all’orecchio come ben conosciuti. Ecco una rassegna non completa ma significativa, dei vocaboli usati per indicare vestiario ed accessori in uso nel medioevo piacentino

Andando a leggere tra le righe delle carte medievali piacentine, troviamo vocaboli che ci suonano all’orecchio come ben conosciuti: sono parole latine, prese così come sono trascritte nella grafia del testo e che ci risultano familiari. Molte di queste addirittura le usiamo ancora nel linguaggio comune, e non poche le pronunciamo nel parlare dialettale ed è una sorpresa sapere che ci arrivano da circa mille anni fa, quando in quel tempo erano termini popolari comuni.

L’altra curioso dato messo in evidenza dagli storici è che esisteva un vero e proprio “glossario emiliano” che ritroviamo usato a Piacenza e in tutta la regione, fino ben oltre a Bologna e questo appunto testimoniano le carte del tempo. Ecco allora una rassegna non completa ma significativa, dei vocaboli usati per indicare vestiario ed accessori in uso nel medioevo piacentino. Intanto sappiamo che la veste in genere era detta “sachus”, in quanto la veste comune per uomini e donne era a forma di tunica (vestem seu sachum), se però era un abito con delle guarnizioni era detto “pelanda” e poteva avere anche delle “piacagia” cioè fermagli che in dialetto oggi chiamiamo “picaia”. La pelliccia aveva due varietà: la “pellis” (pelliccia comune) ed il “pellizzone” mentre il cuoio era detto “curamen”. Per cucire ovviamente si usava il “repe” che oggi chiamiamo “filo di reve” ed il rimasuglio di tessuto ha lo stesso vocabolo di oggi cioè “scampulus”.

La lana scartata era detta “ranxinum” mentre il cotone era il “bombaxium” (bombagio) ed pregiato damasco “maschatum”. Il cappello piccolo si indicava con il termine “bertinus” o “capelletus” ed era di color grigio, di stoffa grezza; la calza era la “caliga”; ci si copriva con il “gabbano” un rozzo e corto pastrano con le maniche. Il colore paonazzo, tendente al nero, era il “morello”; gli abiti avevano un “buctone” (bottone) altre vesti mostravano un “capucius”  così come una “frangia” e pure la “fubia” (la fibbia). Il tessuto in genere era il “drapus” e con questo si poteva confezionare un “camisius” (camice) oppure anche semplicemente detta “tela” e se era un pezzo di “stoffa” (come ancora lo pronunciamo noi) inutilizzabile diventava uno “strazus” (straccio) come d’altra parte succede oggi. Già nel 1200 i mercanti di Piacenza “ad retaleum vendant” vendevano panni al ritaglio ed al dettaglio, la metratura giusta per ricavarne un indumento. La borsa era la “scacia”, “bursa seu burseta” e pure “scarsella ab homine” molto in voga tra i pellegrini e fatta a forma quadra di “coramen” lavorato e “cocto” per renderlo resistente anche all’acqua.

Tra i tessuti oltre al “veluto” troviamo “vestitus unus zetonini celestri” (un vestito di seta leggera celeste) e la “vestem ab homine panni lana” (una veste da uomo in panno di lana) e pure la “vestem a domina velutim viridis” (una veste da signora di velluto verde). Un abito costoso e usato dalla nobiltà femminile a Piacenza ancora nel 1388 era la “vestis cipriana” cioè un abito tutto abbottonato davanti ma molto scollato, usato dalle donne di Cipro, tanto che il documento recita delle donne che lo ostentano “que cipriane habent gulam tam magnam quod ostendunt mamillas”.

La veste era detta anche “indumento” e si ostentavano anche “manighottis recamatis” e “panno grane” cioè maniche con ricami e panni tinti di un rosso particolare ma anche “vestem panni brocati aurei” che è il broccato oro. Sempre a Piacenza nel 1300 è prescritto che il “tubatores... vidilicet unum gonellum, duas caligas et unum caputium” cioè che il trombettiere (tubatores) deve avere l’abito prescritto dagli Statuti: una gonnella, due calze ai piedi ed un cappuccio e le calzature si stringevano ai piedi con la “stringa”, il legaccio; per le signore si usavano orpelli quali “binda de lino et seta” un nastro tinto di lino o di seta. Tutta una varietà di vocaboli dei quali ancora facciamo uso per comunicare e che sono solo una piccola parte, un assaggio, di quello che è il ricco vocabolario che ci deriva dai secoli passati dell’affascinante medioevo piacentino.

Umberto Battini

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