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Il motorsport si sposta sempre più nel virtuale: «I simulatori di guida fedeli alla realtà»

I simulatori nel mondo delle corse stanno prendendo piede. Il piacentino Carlo Labati (team manager e pilota del “Leo Racing Team”): «Boom di vendite dal 2020, i piloti di Formula Uno si allenano così perché restituiscono quasi tutte le sensazioni della pista»

Basta chiamarli videogiochi, sono molto di più. Almeno per quanto riguarda il mondo delle corse. Tanto che ormai quasi tutti i piloti di Formula 1 (tranne qualche “residuo” di pilota della vecchia generazione) se ne servono per tenersi in allenamento con il fisico, con i riflessi e con la memorizzazione delle curve del circuito. I simulatori di guida stanno prendendo sempre più piede nel motorsport.

«Ora sono diventati un grande business – spiega Carlo Labati, 43 anni, geometra e responsabile dell'ufficio tecnico del Comune di Ferriere, che ha scoperto questo mondo già ai suoi albori, una ventina d’anni fa – soprattutto da quando è scoppiato il Covid. Nel primo lockdown era impossibile, per i piloti di qualsiasi categoria, scendere in pista. Tutte le case automobilistiche si sono riorganizzate per incentivare l’utilizzo dei simulatori. I piloti, che non potevano andare in palestra e in pista, sponsorizzati dalle aziende che vendono prodotti informatici, hanno invaso i social con i loro allenamenti quotidiani al simulatore, facendo venire la voglia a tanti di scoprire questo settore».

Non solo i piloti più giovani, come Norris, Russell, Leclerc e Verstappen. Anche Alonso, o l’italiano Giovinazzi. Non piace così tanto ai più esperti Bottas, Raikkonen e Vettel. «Si stanno moltiplicando le piattaforme di allenamento, c’è un boom di vendite». Perché i simulatori piacciono? «Si abbattono i costi. Niente pista, niente box, scuderie, test e ci si diverte ugualmente. Gli E-sports li pratico da vent’anni, all’inizio erano svaghi e passatempi. Ormai hanno invaso anche il professionismo. I regolamenti imposti che bloccano i test, budget risicati delle squadre e delle scuderie, hanno portato inevitabilmente a questa strada».

Carlo Labati-2

I simulatori più performanti (che vanno al di là del semplice volante acquistato e collegato a uno schermo) restituiscono tantissime sensazioni. «Le forze G su una postazione dinamica sono fedeli – prosegue Labati - così come le difficoltà come l’usura dei pneumatici e le condizioni atmosferiche. Sono pochissime le cose che cambiano, come ad esempio – ovviamente – l’impossibilità di fare danni alle persone e alle auto». Tanto che si fa scouting anche tra i piloti che vengono da questo mondo, si scoprono nuovi talenti risparmiando notevolmente sui costi. «Si seleziona anche in base alle loro capacità fuori dalla pista. La stessa Aci vuole regolamentare questo mondo e creare una sorta di circuito professionistico, per riconoscere ai piloti una carriera da agonista».

E il romanticismo del mondo delle corse? Quello decantato da Steve McQueen nei suoi film, o da Paul Newman? Che, purtroppo, spesso, ha anche a che fare con la “signora in nero con la falce”? O quantomeno con incidenti gravi, di cui – certamente - non si sente la nostalgia, ma che facevano parte del quotidiano? «Il mondo delle corse è molto cambiato. Non esistono più piloti che vanno a sensazioni e sanno leggere la telemetria stando in abitacolo. È tutto ingegnerizzato». I piloti di oggi, a tutti i livelli, hanno meno ore di pista. Ma di fatto più ore di allenamento. «Il simulatore aiuta tantissimo a livello mentale, stimola la memoria, oltre al fisico. E aiuta anche la visione in pista, poi quando entri nell’abitacolo hai quasi la sensazione che la gara sia più rallentata, perché comunque non alzi mai l’asticella delle prestazione come puoi permetterti al simulatore, dove il danno reale e i costi di riparazione dell’auto non esistono». Ma ci si può far male anche dopo un incidente al simulatore. «In quelli professionali, che usano le scuderie della F1 e non solo, se si va a sbattere a 300 kmh senti eccome la “botta”. Si può riprodurre, a seconda della disciplina e del peso, l’impatto che avrebbe il mezzo nella realtà».

Labati evidenzia che si può costruirsi in casa un buon simulatore spendendo fino a 15mila euro. «Quello della Williams costa quasi un milione di euro, si parla di queste cifre per i simulatori delle case». Nei rally, invece, non ha ancora avuto la stessa fortuna. Ultimamente va di moda la “Virtual Reality”: non si guarda più lo schermo, ma si utilizzano “gli occhiali” speciali per immergerti nel virtuale. «Per le gare endurance è molto allenante. «Tanti piloti che hanno corso di recente alla 24 Ore di Le Mans usano il simulatore».

Labati è team manager e pilota del “Leo Racing Team”, una squadra di 35 piloti che partecipano a gare virtuali. «Nel 2018 – racconta il ferrierese - mi contattò un pilota per entrarne a far parte, Federico Leo, che ha corso anche nella Gp2 ed è stato campione europeo nel Gto». Il team di Labati segue un calendario che anticipa quello della Wec e delle corse americane di endurance. Partecipano una media di 40-50mila driver collegati da tutto il mondo. Ogni pilota ha una carriera e un rating, dal “rookie” al professionista. Per scalare la vetta la regola è sempre quella del motorsport: andare più veloci degli altri.  

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