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Impiantato a Piacenza il pacemaker del futuro

Si tratta di un nuovo dispositivo da poco entrato in commercio e già utilizzato nel nostro reparto di Cardiologia, con delle caratteristiche tecniche del tutto innovative rispetto ai tradizionali apparecchi

A Piacenza è stato impiantato qualche giorno fa il pacemaker del futuro. Si tratta di un nuovo dispositivo da poco entrato in commercio e già utilizzato nel nostro reparto di Cardiologia, con delle caratteristiche tecniche del tutto innovative rispetto ai tradizionali apparecchi: il pacemaker viene attivato dal battito “normale” del cuore e non dall’impulso diretto del dispositivo elettronico. Si chiama Fascio di His il punto preciso in cui l’equipe di Elettrofisiologia dell’ospedale di Piacenza è in grado di posizionare uno dei cateteri di stimolazione dell’apparecchio, in modo da controllare le anomalie del ritmo cardiaco in modo più fisiologico. L’utilizzo di questa nuova tecnica rappresenta un ulteriore traguardo per l’elettrostimolazione cardiaca a Piacenza. La procedura è stata recentemente inserita nelle linee guida europee e americane per alcune specifiche tipologie di pazienti. Per ora non tutti possono giovarsi di questi dispositivi, ma il futuro della elettrofisiologia non è lontano.

«La nostra equipe – spiega il cardiologo Luca Rossi, referente di Elettrofisiologia all’interno della Cardiologia di Piacenza – è al passo con le tecnologie più all’avanguardia nel panorama mondiale. La stimolazione fisiologia tramite il fascio di His è indicata soprattutto per i pazienti che hanno bisogno di una stimolazione costante del proprio cuore”. La tecnica prevede l’impianto di un pacemaker che fornisce impulsi al cuore, attraverso uno o più elettrocateteri. L’obiettivo del dispositivo è quello di ripristinare il passaggio del segnale elettrico dall’atrio ai ventricoli, le due parti del cuore che svolgono la funzione di pompa.  
La prima grande novità risiede nel fatto che uno dei cateteri di stimolazione viene posizionato in un punto specifico, il Fascio di His, con l’obiettivo di generare una risposta il più fisiologica e naturale possibile del ventricolo, esattamente come se fosse attivata dal pacemaker naturale del cuore e non da un impulso esterno.
La modalità di stimolazione cardiaca non è l’unica grande innovazione presente in questa tecnica. “L’intervento viene fatto – aggiunge l’esperto - con l’ausilio di un sistema di mappaggio cardiaco in grado di fornire una ricostruzione tridimensionale del cuore del paziente e guidare l’operatore durante l’intervento». 
In sostanza, il cardiologo interventista affronta la procedura con un sistema di navigazione 3D che gli fornisce informazioni aggiuntive, spaziali e morfologiche, per il posizionamento ottimale degli elettrocateteri. Questo permette al professionista di lavorare in maniera precisa e sicura senza dover utilizzare la fluoroscopia. I benefici per il paziente di questa tecnica è anche quella di non sottoporlo a raggi, si definisce tecnica a “raggi zero”. I vantaggi sono tangibili: «Questa alternativa permette di minimizzare l’esposizione a radiazioni ionizzanti che vengono erogati solitamente durante questi esami e che con il mappaggio 3D sono azzerati. Le radiazioni ionizzanti infatti espongono sempre ad un rischio di sviluppare neoplasie se a dosi eccessive. Oggi molti pazienti sono sottoposti a TAC, RX, angiografie e altre procedure che si sommano come rischio di esposizione ai raggi. Con questa metodica 3D che utilizziamo a Piacenza anche per le ablazioni della fibrillazione atriale, il paziente è più tutelato».

«Di nuovo il team di elettrofisiologia – commenta Daniela Aschieri, direttore di Cardiologia dell’ospedale di Piacenza - dimostra l’altissimo livello della propria pratica clinica e strumentale. Negli ultimi anni i professionisti di questo ambito hanno dato prova di saper spaziare tra le diverse tecniche innovative. In primis le procedure di ablazione della fibrillazione atriale, metodica che ci pone anche per numerosità dei casi trattati tra i centri più qualificati in Italia, ma anche il posizionamento del più piccolo pacemaker attualmente in commercio che viene applicato al cuore senza cateteri. La sala di Elettrofisiologia non ha niente da invidiare ai più rinomati ospedali della zone limitrofe. In particolare il personale dedicato a queste procedure costantemente aggiornato e la tecnologia che l’Azienda di Piacenza ha messo a disposizione ci permettono di effettuare interventi di altissimo livello tecnologico. Un fiore all’occhiello per il sistema sanitario locale. Dopo il Covid abbiamo ripreso a pieno ritmo, è il caso di dirlo. A breve diventeremo centro di riferimento e tutoraggio per alcune delle metodiche sopra citate».
 
La Sincope Unit
Dopo due anni di riduzione per la pandemia, la Sincope Unit, di cui referente è Maria Giulia Bolognesi, ha ripreso a lavorare a pieno regime. L’attività è finalizzata allo studio del paziente che ha avuto episodi di  sincope ossia perdita di coscienza. Possono accedere tutti i pazienti che necessitano di uno studio approfondito delle cause di “svenimento” sia provenienti dal territorio (attraverso una segnalazione dei medici di famiglia) sia provenienti da Pronto soccorso.  In particolare, la  collaborazione tra cardiologi e medici d’Urgenza nelle prime fasi diagnostiche permette di identificare le persone che necessitano di successivi step di diagnosi cardiologica.
In questo  ambulatorio dedicato allo studio della sincope si svolgono i test neuromediati di I e II livello, tra cui l’impianto di loop recorder, uno strumento altamente sofisticato di controllo del ritmo cardiaco in monitoraggio a distanza. Si tratta di una sorta di “microchip” che viene posizionato sottocute del paziente. Gli ultimi modelli più moderni che si impiantano vengono addirittura iniettati sotto pelle, grazie alla loro piccolissima dimensione. Con questo dispositivo il paziente è monitorato 24 ore su 24 da casa e il tecnico di cardiologia che controlla quotidianamente i report inviati dal loop recorder può valutare costantemente cosa succede a distanza, senza fare accedere il paziente in ospedale se non in caso di bisogno. In questo modo si riesce a identificare le cause dello svenimento. «La tecnologia in questo ambito – evidenzia la dottoressa Bolognesi - è diventata incredibilmente innovativa: utilizziamo dispositivi che contengono sensori  grandi poco più di uno spillo e che sono in grado di connettersi con una app sullo smartphone in modo da rivoluzionare la diagnostica. Questi dispositivi riescono a trasferire l’elettrocardiogramma al nostro ambulatorio permettendo così al paziente di rimanere costantemente connesso al nostro centro. Inoltre la miniaturizzazione e la facilità di impianto di questi dispositivi ci permettono di evitare il classico ricovero e di gestire in regime ambulatoriale i nostri pazienti. Nel giro di un paio d’ore lasciano i nostri ambulatori rimanendo tuttavia connessi al nostro centro aritmologico grazie al monitoraggio remoto».
Grazie inoltre a una rete di collaborazioni con istituti universitari, la Sincope Unit ha un percorso agevolato per il dosaggio della adenosina plasmatica, un neuromodulatore che è causa allora di sincopi non giustificate da comuni cause. «Avere a disposizione metodiche diagnostiche sofisticate – conclude l’esperta - permette di indirizzare alla più corretta terapia i pazienti che afferiscono al nostro centro».

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