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«In quei paesi là, in riva al fiume, sono tutti un po’ balenghi!»

Il Grande Fiume e Giovannino Guareschi: nel cinquantesimo della sua scomparsa lo scrittore bassaiolo è stato ricordato in tanti modi nella sua terra. Nel suo “Mondo piccolo” il racconto della sofferenza che provoca un'alluvione nella popolazione della Bassa. Don Camillo prova a rassicurare la sua gente

Il Po è linea di confine, per anni territorio di scambi commerciali e scontri. Tante sono le cittadine e i paesi che si sono formati lungo il suo corso. Il fiume dà prosperità a queste località. La sua acqua è utilissima per il foraggio. Nel Mondo piccolo però può accadere di tutto e accade di tutto. Solo il Grande fiume sa ancora raccontare stramberie che sono realtà. Storie vere che sembrano favole e favole che paiono vere.

In quei paesi là, in riva al fiume, nella gran piana dove il solle battente addormenta la gente di giorno e le zanzare la tengono sveglia di notte, sono tutti un po’ balenghi e allora bisogna aspettarsene di ogni qualità[13].

Il fiume, temporibus illis, roba di cento o duecento anni prima, aveva fatto il matto; l’acqua, arrivata quasi in cima all’argine, aveva coperto una cappelletta che si levava all’ombra dei pioppi, nella fetta di terra tra l’argine e il fiume. La chiesuola era piantata in una bassa: l’acqua rimase dentro quella gran buca quando il fiume ritornò al suo posto e la chiesuola fu inghiottita lentamente dal fango e adesso, anche a scandagliare dentro il laghetto nato durante quella piena famosa, non si trova niente, neanche la punta del campaniletto[14].

L’acqua del grande fiume pareva ferma: e invece scorreva. Ma lento è il battito del vecchio cuore del grande fiume nel quale si specchiarono – ragazzi – i miei vecchi e che mi racconta queste storie di vivi e di morti[15].

Pioveva già da quattro o cinque giorni: una maledizione di acqua a cataratta, come se si fosse spaccata la conduttura maestra del cielo, e il fiume era gonfio da paura. Ma nonostante il diluvio e il pericolo, sull’argine stava un sacco di gente: avevano la doppietta sotto il tabarro e non perdevano di vista la riva opposta perché là c’era Torre del Fieno, un porco paese di gente spiccia, capacissima di passare il fiume per venir di qua a tagliare l’argine e alleggerire la pressione dell’acqua contro l’argine della loro parte. (…) L’avevano già fatto parecchie volte, nei tempi antichi, e avevano tentato di farlo durante l’ultima piena famosa, roba di circa quindici anni fa. (…) La situazione in generale era grave per via della disgraziata posizione del paese: davanti il fiume grosso in piena che premeva contro l’argine e il pericolo dei pirati di Torre del Fieno, ai fianchi due affluenti del fiume grosso, gonfi anche loro da far paura, dietro la boscaglia col pantano che si era formato per via dei canali della bonifica che erano straripati[16].

Dal racconto numero 124 «Come pioveva» Guareschi narra la centralità e l’importanza del fiume nella vita delle persone. Don Camillo è stato trasferito in un’altra parrocchia. È lontano dal suo Mondo piccolo, e un po’ tutti sentono la sua mancanza: perfino i comunisti, anche i suoi avversari politici, tra cui ovviamente il sindaco Bottazzi. E sembra che anche il tempo - inteso come condizioni meteorologiche – sia contrario all’assenza del prelato dalla sua parrocchia originaria. L’acqua scende a catinelle, il fiume si riempie. L’autore tratteggia l’angoscia della sua gente, alle prese con un fenomeno atmosferico di grande dimensioni. Il Po è gonfio, la natura rivendica i suoi spazi e l’uomo può fare ben poco per arginarlo. Alcuni dei racconti più carichi di significato lo scrittore li dedica proprio all’alluvione. «La campana» ha assonanze con la storia di Peppone accovacciato in cima al campanile cullato dalla ninna nanna dello scampanare a morto. Lassù il grosso sindaco si salva dall’alluvione di retorica e menzogna che il funzionario del suo partito porta in paese. Durante l’inondazione, don Camillo, solo nella chiesa allagata, parla di salvezza ai suoi parrocchiani rintanati sull’argine. È sempre la stessa salvezza, annunciata dal suono di una campagna: «Fratelli – disse don Camillo. – Le acque escono tumultuose dal letto dei fiumi e tutto travolgono: ma un giorno esse ritorneranno, placate, nel loro alveo e ritornerà a splendere il sole. E se, alla fine, voi avrete perso ogni cosa, sarete ancora ricchi se non avrete persa la fede in Dio. Ma chi avrà dubitato della bontà e della giustizia di Dio sarà povero e miserabile anche se avrà salvato ogni sua cosa. Amen»[17]. La scena è carica di tensione e Guareschi la tratteggia in questo modo:

…che l’unico modo per salvarsi era quello di passare dall’altra sponda e spaccare l’argine. Ottanta persone su cento pensavano affannosamente quale sarebbe stato il sistema più sbrigativo per passare di là e tagliare l’argine. E oramai era ineluttabile: qualcuno sarebbe riuscito a passare di là e avrebbe tagliato l’argine. Ma, a un tratto, la pioggia cessò. E per qualche istante la speranza che le acque discendessero rischiarò i cuori. Allora udirono suonare le campane a martello e tutto il paese si precipitò nel sagrato. (…) «Non faremo più a tempo! L’argine della Pioppaccia non resisterà» gli urlarono come risposta. (…) Don Camillo spalancò il suo enorme ombrello e si incamminò verso l’argine e la gente lo seguì. (…) «L’argine resisterà, non c’è nessun pericolo» gridò Peppone. (…) Quando li vide tutt’e due, prete e sindaco, sull’argine, all’altezza della Pioppaccia, la gente fu presa dalla frenesia e tutti corsero alle loro case e incominciarono a tirar fuori le bestie dalle loro stalle e a caricare i carri. (…) «Se, per esempio, l’argine crollasse adesso che la gente ha appena incominciato lo sgombero, pensate che magnifico risultato (…) Verso sera l’acqua incominciò a calare e don Camillo e Peppone lasciarono l’argine e tornarono nel paese oramai deserto perché la gente se n’era andata tutta. (…) L’argine maestro non si mosse di un millimetro neanche là dove – secondo la gente – avrebbe dovuto spaccarsi, e così, la mattina dopo, parecchi ritornarono in paese per fare qualche altra carica di roba. (…) Però, verso le nove, accadde quello che nessuno si aspettava. L’acqua era cresciuta ancora, e se non ce la faceva a bucare l’argine maestro, aveva però trovato buon gioco là dove l’argine grosso era già bucato[18].

Un paio di chilometri a est dopo il paese, la strada che correva sull’argine maestro doveva passare sopra il ponte del Fossone perché qui l’argine era interrotto per via del torrente Fossone che sfociava nel fiume. Il Fossone era, si capisce, chiuso tra due argini solidi e sicuri: ma, per la gran piena dei fiume grande, il Fossone aveva dovuto invertire la marcia. E l’acqua, invece di uscire nel fiume, entrava dal fiume. Ed entrava a velocità sempre più forte: così, trovato un punto deboluccio là dove l’argine sinistro del Fossone, subito dopo il ponte, si innestava nell’argine maestro, aveva incominciato a scavare sotto, e a un brutto momento, il buco era diventato una caverna. L’acqua sbucò dalla terra come un fontanone e, mano a mano, che passava, rosicchiava il buco. Non c’era niente da fare: appena dato l’allarme, quelli che erano tornai si misero in salvo con birocci e camion. (…) Di lassù si vedeva tutto benissimo: l’acqua aveva già invaso la parte bassa del paese e lentamente avanza. L’acqua arrivò alla casa di Merola: una vecchia bicocca isolata, tirata su con mattoni cotti al sole e fango. Quando l’acqua raggiunse le finestre del pianterreno, la casipola crollò. (…) Intanto l’acqua veniva avanti sempre più rapidamente: la terra, per il gran piovere, era fradicia e non poteva più assorbire una goccia. E poi, oramai, l’acqua aveva raggiunto la parte alta che, adesso, era tutto in piano. Udì un tonfo e guardò col binocolo che s’era portato: l’argine del Fossone, minato dall’acqua, era crollato per una cinquantina di metri. (…) …s’erano buttati verso il paese con birocci, moto e biciclette e si erano ritrovati sull’argine davanti al loro paese oramai allagato. (…) Don Camillo, quando aveva visto la gente sull’argine maestro, era sceso. L’acqua, superati i tre gradini del portale, era già entrata in chiesa. (…) I suoi fedeli erano all’asciutto, là sull’argine. E quando venne il momento di parlare ai fedeli, non gli interessò il fatto che la chiesa fosse deserta: egli parlava per quelli là sull’argine. C’era un metro d’acqua in chiesa e i banchi e confessionali si erano capovolti e navigavano in quel fango liquido. (…) «Fratelli» disse don Camillo. «Le acque escono tumultuose dal letto dei fiumi e tutto travolgono: ma un giorno esse ritorneranno, placate, nel loro alveo e ritornerà a risplendere il sole. (…) I due uomini cercarono di convincerlo, gli spiegarono che tutto il paese sloggiava perché l’acqua da un momento all’altro poteva spaccare l’argine, ma il Maroli scosse il capo[19].

 

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