Inclusione, coesione e reti di prossimità: come cambia la sanità del futuro
Incontro all'Università Cattolica per fare il punto della situazione, ripensando il ruolo dell’ospedale, dei servizi di assistenza domiciliare integrata, delle cure intermedie e delle cure primarie
Come sarà la sanità del futuro? E’ cambiata la società e di fronte a sfide pandemiche ricorrenti, ma soprattutto ai nuovi bisogni, è necessario un sistema sanitario resiliente e sostenbile che necessita di nuovi modelli organizzativi. Per fare il punto della situazione, ripensando il ruolo dell’ospedale, dei servizi di assistenza domiciliare integrata, delle cure intermedie e delle cure primarie, si è svolto all’Università Cattolica, sulle piattaforme social, un incontro cui hanno preso parte Marco Leonardi, Capo del Dipartimento per la Programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Elio Borgonovi dell’Università Bocconi e l’assessore regionale alle politiche della salute Raffaele Donini, mentre Emanuele Vendramini dell’Università Cattolica e Antonello Zangrandi dell’Università di Parma hanno approfondito il tema dell’inclusione e della sanità di prossimità. Barbara Boschetti e Vendramini nella loro introduzione agli interventi, hanno evidenziato come di fronte ai cambiamenti sociali (più povertà sempre più anziani, nuove forme di marginalità sociale, occorre un nuovo modello di sanità. Un concetto ribadito da Borgonovi secondo cui «bisogna disimparare dai comportamenti precedenti e ricostruirli di nuovo, tornando alle origini, attrezzandosi per rispondere ai bisogni. Dopo la Spagnola si pensava di essere immuni alle epidemie endemiche o che perlomeno fossero sotto controllo. Ci si è concentrati su diagnosi e cura per patologie acute, specializzandoci sempre di più, con l’aumento della vita è aumentata la cronicità ed poi il Covid ci ha messo di fronte ad altri problemi: prevenzione, salute dell’individuo collegata a quella della collettività e del mondo intero, con terapie di prevenzione e precisione».
«E’ necessario - ha detto - ricomporre le specializzazioni sulla persona, combattere le antibiotico resistenze, il disagio psichico ma anche le “pandemie da fax news. Gli specialisti devono imparare a lavorare in modo interdisciplinare, con organizzazioni non rigide ma duttili». «Stiamo compiendo - ha ricordato Leonardi - un tour nei territori, ma la vera sfida sarà il prossimo anno quando si comincerà a spendere, si inizia con i bandi per la fibra ottica e il cloud nazionale. Alle regioni va il riparto dei fondi per la sanità, ora spettano a loro le proposte per la medicina territoriale e per le case di comunità. Seguiranno i bandi per scuole, palestre ecc». «Le Regioni - ha puntualizzato Donini - sono uno strumento dello Stato: sta a noi condividere le esperienze. Puntiamo ad una medicina sia per gli ambulatori che per cure primarie e case di comunità, dove si integra la parte sanitaria con quella socio-assistenziale, sempre più verso il domicilio dei cittadini, con una rete integrata e con infermieri di famiglia come di psicologi. Certo non mancheremo di potenziare i pronto soccorsi con nuovo personale, ma non dimentichiamo che il 75% sono accessi impropri, che possono essere drasticamente diminuiti con luoghi di presidio territoriale». «Bisogna - ha detto - potenziare le cure primarie ma anche le tecnologie nelle eccellenze ospedaliere. La sanità del futuro deve garantire migliori stili di vita, puntando soprattutto sulla prevenzione, cooperando con le Università che sono un sistema di saperi che deve diffondersi sul territorio».CAl termine degli interventi si è svolta una tavola rotonda coordinata da Paolo Rizzi, docente dell’Università Cattolica, con uno scambio di opinioni tra Lucia Fontana, sindaco di Castelsangiovanni e Presidente della conferenza territoriale sociale e sanitaria, il direttore generale dell’Ausl di Piacenza Luca Baldino ed il direttore generale dell’Ausl di Modena Antonio Brambilla.