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«L’ospedale di via Taverna diventi un polo destinato a tutte le malattie della terza età»

Comolli: «Abbandonare il vecchio ospedale senza un destino certo va solo ad allungare l’elenco dei beni immobiliari e demaniali piacentini che non hanno da decenni una destinazione d’uso»

Nuovo e attuale ospedale, riceviamo e pubblichiamo l’intervento di Giampietro Comolli dopo la conferma, da parte della Giunta Tarasconi, di voler cambiare l’area che ospiterà il nosocomio.

«Con la nuova amministrazione Tarasconi il tema ospedale ritorna in auge nei primi giorni del mandato e scalda i motori di tutti, dentro e fuori l’aula consigliare. Da nomade vagabondo da 40 anni in Italia e Europa almeno, ho visto (a volte avuto bisogno) diversi centri ospedalieri e diversi servizi sanitari pubblici e privati all’opera. A scanso di equivoci sono convinto che la sanità italiana (e emiliana) sia fra le primissime realtà fra tutti i Paesi. Sempre per onestà intellettuale e per prassi nella mia vita professionale, prima di comperare una auto nuova ho sempre guardato quale tipo di auto era la migliore e ideale al mio caso. Non entro nel merito di “dove” costruire l’ospedale, prima mi interessa capire e approfondire “quale” sanità necessitano i piacentini fra almeno 10-15 anni e per i successivi 30. Parliamo di una opera che può incidere notevolmente sulla organizzazione urbana e che deve essere attiva, giusta, utile per 50 anni. Non credo proprio – come ho sempre scritto con riferimento ad alcune città estere – che un solo mega nosocomio, sulla falsariga di quelli costruiti in Italia negli ultimi 30-35 anni anche non distanti da Piacenza e dentro la nostra regione, sia il progetto lungimirante, innovativo, tecnologico, assistenziale che serve ai piacentini. Prima di decidere dove costruire 500-600 posti letto su 5 piani per una spesa di 250 milioni di euro almeno, già nel 2015-2016 ebbi modo di portare una soluzione concreta al tavolo di discussione voluta da Dosi e Bisotti, composta da un “trilocale” in cui ci fosse spazio anche per una saggia spesa pubblica di ambito territoriale, senza spreco e consumo di aree non urbanizzate, si pensasse di più ai servizi al malato e meno alla medicina e alla amministrazione sanitaria, con la valutazione prima dei beni demaniali ricevuti quasi gratis, con il fine generale anche di ridisegnare viabilità, servizi, commercio, spazi e verde in almeno tre quartieri cittadini che magari più di altri necessitano di una integrazione occupazionale e una attenzione di integrazione sociale. La Regione ha sempre detto e scritto che non imponeva la logistica e la scelta di un sito…

Deduco che non si è mai espressa contro più siti “nuovi” di un sistema ospedaliero piacentino in una logica di progresso sanitario, di servizi al malato, di efficienza. Recenti fatti al pronto soccorso di Piacenza, ma non solo, sono un piccolo elemento che dovrebbe servire a rivedere anche il modello della “concentrazione” in un solo posto. Concordo con chi scrive recentemente sui media piacentini che abbandonare il vecchio senza un destino certo, si va solo ad allungare l’elenco dei beni immobiliari e demaniali piacentini che non hanno da decenni una destinazione d’uso sana, intelligente, utile, di prospettiva. Penso soprattutto alle giovani generazioni, alle giovani famiglie piacentine, a chi deve ancora avere un lavoro certo e duraturo che dia fiducia, speranza, sicurezza. La sicurezza di vita, vale più di qualunque altra costruita con muri.

Semplifico. Via Taverna può essere in parte un polo destinato a tutte le malattie della terza età, di chi è solo, di chi ha una pensione minima con i parenti in città che possono usufruire di spazi e mobilità pubblica e il centro pratico per una scuola di addetti sanitari di vario tipo e di supporto all’università nascente anche nel vicino ex ospedale militare, necessitando di un parcheggio limitato, sicuramente rigenerante l’area verso via Maculani fino a porta Borghetto con più spazi verdi. Una caserma ereditata, ben collegata in periferia ovest con revisione di tutto il quartiere ampio e nuova viabilità, buon servizio di mezzi pubblici (sogno la metro sopra-sotto dove una volta c’erano i binai militari) potrebbe essere dedicata a tutti i malati giovani di lunga degenza, ortopedia e traumatologia, pediatria e neonatale, psiche-neurologia che necessiterà sempre più di attenzione con un ottimo “ponto soccorso” che diventi un day-ospital attrezzato per alcune patologie, non un ricettacolo di ogni ipotesi di malanno o di bisogno estemporaneo, con il 50% della superficie  dedicato a parco e non a posteggi e cemento. Come terzo polo, vedrei bene l’area cascine di san Lazzaro, ma anche un altro immobile di quartiere sempre già esistente e dismesso da dedicare in esclusiva a tutte le cure di chirurgia esterna ed interna, con massima tecnologia e attrezzatura, già oggi certi reparti piacentini sono riconosciuti all’avanguardia e capofila, dotato di un altro “pronto soccorso-day ospital max di 48 ore” attrezzato con posti letto, con il 50% del suolo a parco, a zoo didattico ambientale… che aiuta sempre chi sta male e può favorire la guarigione .

Resto sempre della idea che scuola e sanità non devono essere capitoli di bilancio dello Stato e delle Regioni governato dall’obbligo di pareggio e da economie di scala a tutti i costi, soprattutto per voci come personale, assistenza, attrezzature, logistica, strumenti, “posti” per i pazienti. Il cospicuo investimento pubblico (spero ingigantito da tanti privati e imprenditori legati alla sanità) deve essere visto come un impegno anche infrastrutturale di quel tessuto urbano, non della sola struttura a se stante megagalattica dove sullo stesso pianerottolo del secondo piano con 4 ascensori aperti si incontrino la partoriente e il malato con infezione non definita. La giusta sanità e salute dei cittadini viene prima della urbanistica e dell’edilizia: un grande direttore generale dell’Ausl (azienda! e non ente) non si misura da quanti ospedali ha avviato o da quanti incarichi direzionali ha avuto ma da come ha saputo impostare un bisogno salutare e salutistico futuro dei cittadini, da come ha eliminato spese inutili e sproporzionate, come ha saputo far fronte ad emergenze. Per questo il sistema sanitario locale (di comunità o di consorzio non fa differenza) deve essere soprattutto “aperto, diffuso, presente” fuori dalla mura di cemento armato con una pre-azione ambulatoriale di medici attrezzati, quindi anche di PS in grado di intervenire e non di prendere in carico e smistare. Più personale, certo ma di tutti i livelli. All’università di medicina vedrei bene anche una università di infermieristica».                   

Giampietro Comolli

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